Winter 8000
In inverno le temperature sugli ottomila sfidano l’umana comprensione. Fa così freddo che si ha la sensazione di avere i polmoni in fiamme. Le ciglia si cospargono di ghiaccio e si attaccano. La pelle esposta si congela in pochi minuti. Le estremità diventano terribilmente fragili; se stanno troppo ferme o costrette in una qualche posizione, si ghiacciano fino a diventare dure come legno […] è un freddo tale da non mostrare nessuna pietà. Ti avvolge il corpo è la mente e poi comincia, assai lentamente, a insinuarsi. È spaventoso”. Bernadette McDonald
di Gigi Marchitelli
Il 16 gennaio scorso è successo qualcosa che chiude il cerchio e che questo libro non documenta. Il libro è Winter 8000, di Bernadette McDonald, uno dei libri più attesi a livello internazionale in ambito alpinistico. L’autrice, canadese, esperta di montagna e di cultura alpina, è stata direttrice del Banff Mountain Festival per vent’anni e nei suoi libri si è concentrata in particolare sugli alpinisti, raccontando le sfide più estreme, vincendo numerosi premi e facendosi stimare per uno stile rigoroso e dettagliato.
Winter 8000, pubblicato nel dicembre 2020, è la novità dell’anno in ambito alpinistico, il libro più completo sull’himalaysmo invernale, finalista di tutti i premi letterari internazionali di montagna.
C’è sempre qualcosa che sfugge nelle motivazioni degli alpinisti. Qualcosa che sembra avere a che fare con una magnifica, quanto terribile, ossessione. Soprattutto se si tratta di alpinismo invernale. Se poi l’inverno è quello degli 8000, la cosa è così evidente, anzi è così estrema, che sembra non avere alcuna spiegazione razionale.
Spesso, se non sempre, le storie di questi uomini e donne paradossalmente restano ai margini. Le loro motivazioni, passioni, grandezze e anche miserie, sembrano non contare, non interessare. Sono proprio queste storie, invece, che ci racconta Bernadette McDonald in Winter 8000. Sono proprio le incredibili storie di quegli alpinisti che hanno scelto di confrontarsi con le montagne più alte della terra nella stagione più inospitale e difficile, che rendono questo libro non solo importante ma anche assolutamente avvincente. Perché è una vera e propria epopea quella che McDonald ci racconta. Una grande storia, tutta vera, che come un appassionante romanzo prende il via dalla prima salita invernale di un Ottomila, sua maestà l’Everest, per poi attraversare tutti gli altri 13 colossi fino al K2, l’unico che ancora resisteva alla prima invernale.
Quello dell’inverno è un gioco affascinante e tragico, suggestivo. Prende gli appassionati come fosse un ritorno all’epoca pionieristica dell’Himalaya. In inverno i rapporti umani possono raggiungere l’esasperazione: freddo, cattive condizioni meteo e spazi di vita ristretti non sono mai un buon connubio. Ai campi base si creano rapporti, nascono sfide e si frantumano amicizie. Va sempre così, forse oggi più di ieri. Ma la storia rimane epica, l’inverno è una sfida ai limiti della sopportazione fisica e mentale. Significa determinazione, coraggio, intuito

Protagonisti di questo fantastico viaggio sono loro, i “guerrieri del ghiaccio”. Quegli alpinisti che di quel mondo, dove i venti urlano a 150 chilometri all’ora e le temperature vanno oltre i 50° sotto zero, non possono fare a meno. A cominciare dai grandi polacchi che hanno “inventato” l’inverno sugli Ottomila. Come il patriarca Andrzej Zawada, il sempiterno Krzysztof Wielicki, il gigante Jerzy Kukuczka, il suo grande compagno Voytek Kurtyka e la mitica Wanda Rutkiewicz. Per continuare con Maciej Berbeka, Artur Hajzer e Adam Bielecki, solo per citare alcuni altri leggendari componenti del plotone polacco.
A loro si aggiungono i “non polacchi” tra cui la svizzera Marianne Chapuisat prima donna, sul Cho Oyu, a scalare d’inverno un 8000. Il bergamasco Simone Moro, un autentico specialista e riferimento con il suo record di 4 prime invernali su altrettanti Ottomila. Il fuoriclasse Jean-Christoph Lafaille. L’incredibile e inarrivabile Denis Urubko. E poi Daniele Nardi che al sogno del Nanga Parbat d’inverno ha dedicato tutto se stesso. L’inarrestabile Alex Txikon. L’inconfondibile e sfortunato Tomasz Mackiewicz. Tom Ballard, il ragazzo nato per arrampicare. La sempre sorridente e fortissima Tamara Lunger. La piccola e indomita combattente Elisabeth Revol. E tutti gli altri che compongono questa pazza tribù dell’alpinismo.
I loro sogni come le salite e le difficoltà. Le rare vittorie e le tantissime sconfitte, ma anche gli amori e le liti, la gloria e la miseria. Le lotte infinite per sopravvivere, le immense tragedie e il dolore dei loro cari e amici s’incrociano e si rincorrono senza apparente fine. Così le loro storie sembrano la rappresentazione stessa della vita. Un magnifico e tremendo viaggio individuale e collettivo che si spinge alla ricerca di quel limite, e di quelle risposte, che forse non raggiungeremo mai ma che ci rendono vivi.
Ma cosa è successo il 16 gennaio 2021? Semplice, l’ultimo gigante è crollato, la prima invernale del K2 è stata tentata con successo da una cordata di nepalesi guidati da Nirmal Purja. Purja, che ha fatto parte dei Gurkha, reparto d’élite della fanteria britannica, è celebre per aver scalato tutte le quattordici montagne di 8000 metri nel tempo record di 189 giorni, poco più di 6 mesi, nel 2019. Lo ha incontrato anche Cala Cimenti mentre si apprestava a salire il Nanga Parbat. Diciamo che il suo non è il “puro stile alpino”: per realizzare queste imprese utilizza non solo le bombole di ossigeno, ma anche elicotteri per gli spostamenti da un campo base all’altro e tutta la tecnologia disponibile. Da buon militare, per lui la montagna è ancora oggetto di conquista. Ecco perché il libro di Bernadette McDonald resta completo. Lei parla di uomini, non di spedizioni.
P.S. Questa recensione è dedicata alla memoria di Giuseppe, mio papà, che vedete nella foto di copertina durante un’ascensione a Col Vincent (4000 m). Papà era un alpinista e ha al suo attivo una prima invernale, sulla parete nord del Monte Tagliaferro, nel gruppo del Monte Rosa.

Bernadette McDonald, Winter 8000, edizioni Mulatero, 2020, traduzione di Piernicola D’Ortona, editing di Simona Righetti, revisione tecnica di Roberto Mantovani, pp. 325, € 23