L’uomo che stava per uccidere il Tour
Si è ripreso da un tumore e si è trasformato in Superman. […] Un tempo ci credevo in questo sport e Lance Armstrong lo sta uccidendo.” (David Walsh)
di Gigi Marchitelli
Diretto, veloce, spietato, il film di questa settimana non si perde in preamboli, non promuove indagini sociologiche sulle cause, non si concede deviazioni didascaliche o romantiche. Parte come un treno, in pochi secondi ci catapulta nell’affaire: “È l’evento sportivo più impegnativo al mondo. Venti tappe, 180 corridori e soltanto uno indossa la maglia gialla”. Siamo al Tour de France, naturalmente, e questa storia è la storia della più grande e duratura frode sportiva mai scoperta e dell’uomo che ne è stato al tempo stesso il principale protagonista e il simbolo, Lance Armstrong. Ma è anche la storia di chi infine l’ha smascherato, resistendo a pressioni economiche, psicologiche e, diciamolo, mafiose: il giornalista David Walsh del The Sunday Times, innanzitutto. Da un suo libro è tratta la sceneggiatura del film.
Il film è The Program, di Stephen Frears (regista, tra l’altro di The Queen, 2006, e di Philomena, 2013), un film in apparenza documentaristico ma che in realtà ci porta dietro le quinte, laddove nessuna macchina da presa è mai entrata, della carriera di Lance Armstrong, acclamato vincitore di sette Tour de France consecutivi (1999- 2005) che nel 2012 si ritrovò accusato di doping. C’è un Armstrong di facciata con la sua ferrea disciplina, la sua grinta a rimettersi dal cancro; e un altro, sotto la maschera, che non esita a iniettarsi droghe e barare nei test di controllo.
La trama, ammesso che qualcuno non conosca la storia. Il ciclista statunitense Lance Armstrong (interpretato da Ben Foster) fa il suo debutto al Tour de France nel 1993. Il suo fisico non è adatto ad una competizione di questo genere, ma la sua determinazione e la sua sicurezza portano il ragazzo a farsi notare tra gli appassionati e i giornalisti. Poco dopo gli viene diagnosticato un cancro ai testicoli, che l’atleta riuscirà a sconfiggere prima di tornare all’attività agonistica. Qui, con l’aiuto del medico italiano Michele Ferrari (Guillaume Canet), mette su un vero e proprio programma farmaceutico che dovrà coinvolgere l’intera squadra, la US Postal Service Cycling Team: un uso costante di sostanze dopanti che, grazie all’attenzione del direttore sportivo Johan Bruyneel (Denis Ménochet), riuscirà a superare ogni controllo medico. Il resto è storia: Armstrong domina il Tour de France per sette anni consecutivi, diventando un eroe per il mondo intero. Ma non tutti credono alla favola: il giornalista David Walsh (Chris O’Dowd) comincia a indagare su Armstrong, raccoglie indizi e, a un certo punto, si trova un alleato di peso: è Bob Hamman (Dustin Hoffman), giocatore di bridge e assicuratore che si è accollato il “rischio” del pagamento dei premi per la US Postal. “Se stesse barando in corsa, allora starebbe barando anche con noi“, argomenta Bob, e sono in ballo milioni di dollari. Perderà la causa, ma con uno strano sorrisetto soddisfatto: ora le dichiarazioni di innocenza e di non aver mai fatto uso di doping da parte di Armstrong & soci non sono più semplici dichiarazioni alla stampa e al pubblico, ma dichiarazioni giurate dinanzi a un tribunale. Basterà un granello di sabbia nel perfetto ingranaggio perché tutto salti.
Il granello di sabbia si chiama Floyd Landis (Jesse Piemons), compagno di squadra di Lance e vincitore del Tour nel 2006, dopo il ritiro di Lance. Floyd viene trovato positivo al testosterone. Nega ma viene squalificato, continua a negare ma nel momento in cui Lance, affamato di vittorie, decide di rientrare in gioco e non accetta il compagno che “si è fatto beccare”, i giochi sono fatti: confessa Floyd, poi confessa Lance, in diretta televisiva.

A costituire il cuore pulsante del film, a conti fatti, è un bravissimo Ben Foster, che aveva già dimostrato il suo talento in Oltre le regole di Oren Moverman e che in The Program offre una performance di ammirevole intensità e mimetismo, in grado di restituire il carisma di Armstrong, ma anche e soprattutto la cieca determinazione, l’ambiguità e l’arroganza: quell’arroganza che, anno dopo anno, sarebbe sfociata nella hybris di un campione che si riteneva al di sopra dei codici morali e della legge sportiva. Ed è appunto su tale “delirio di onnipotenza” che vorrebbero soffermarsi Frears e il suo sceneggiatore, John Hodge, in quello che rimane l’aspetto più interessante del dramma.
Se la storia è già nota e non c’è mistero, pensa Frears, diamogli ritmo e intensità. Facciamo vedere gli aghi, i trucchi, le autotrasfusioni. Frears alterna velocemente immagini di strada alle scene in cui il “programma” del titolo viene messo in atto, mostrando le varie sfaccettature di un uomo accecato dalla sua ambizione, innamorato della propria leggenda, che ha sempre utilizzato il suo impegno nella lotta al cancro come parafulmine per ogni accusa. La bravura del regista è di alternare sfumature documentaristiche (come i sottotitoli che introducono ogni nuovo personaggio, le interviste di Walsh) all’adrenalina della strada, ai chiaroscuri dell’inchiesta giornalistica, al preciso approfondimento della personalità di Armstrong: un grande manipolatore in un mondo, quello del ciclismo, ai tempi piegato a 360 gradi dall’uso di sostanze illecite. Da questo punto di vista, diciamo allora che un limite del film è proprio concentrarsi solo su Armstrong e la sua squadra: l’organizzazione del Tour, gli sponsor e anche l’Unione Ciclistica Internazionale sapevano e hanno coperto, nascondendo test positivi e accettando certificati medici falsamente datati, ma anche accettando centinaia di migliaia di dollari che sarebbero serviti, ironia, “per combattere il doping”. Il “miracolo” Armstrong faceva comodo a tutti, era una fiaba che portava spettatori, allargava agli Stati Uniti il giro del ciclismo, faceva vendere biciclette.
Oggi nessuno ricorda Lance Armstrong come un grande campione, ma è bene vedere questo film e ricordare: di doping (e di bugie) lo sport può anche morire.

The Program, di Stephen Frears
Nazione: Gran Bretagna, Francia
Anno: 2015
Genere: biografico, sportivo, drammatico
Durata: 103′
Distribuito in Italia sulle piattaforme Rakuten.tv, Timvision, Chili, AppleTV e Google Play
“Per quanto mi piaccia il Tour non mi piace andare su una montagna a seguire una corsa tra farmacisti” David Walsh
so di andare controcorrente ma credo le cose siano un pò più complicate di così. Non considero Armstrong un grande o un simpatico; tanto meno un modello da seguire o imitare. Ma credo fosse un vincente. in qualunque sport, non solo nel ciclismo, sono tanti gli aspetti che distinguono un vincente da un “loser” e non sono solo aspetti fisici. Lungi da me il voler giustificare qualunque attività scorretta, bisogna però calare gli eventi nel contesto. Sapete quanti sono i corridori saliti sul podio nei 7 anni di “dominio Armstrong” che non hanno avuto problemi di doping in carriera? Uno! Escartin. Si fa velocemente riferimento al 1993, anno in cui Armstrong si presenta al Tour .. “con un fisico inadatto”. vero. Ma è lo stesso corridore che vince il campionato del mondo ad Oslo, o la tappa al Tour. E’ lo stesso atleta che prima di arrivare alla bicicletta vinceva nel nuoto prima, nel triathlon poi. non un modello, sicuramente. ma un vincente credo di si.
Buonasera Giuseppe, grazie per il suo commento. Ha ragione, le cose sono più complicate di così e ho provato anche a scriverlo sul finale, dicendo che si tace molto del contesto per concentrarsi su Armstrong: l’articolo però non era un commento alla vicenda, bensì la recensione di un film dove regista e sceneggiatori hanno messo in campo una loro visione delle cose con un taglio molto particolare – e qui, devo dire, cinematograficamente molto riuscito. Ma una fiction, in definitiva.
Che poi Armstrong fosse un vincente, questo lo sottolinea anche il regista. Anche se non del tutto in senso positivo. Grazie ancora per l’attenzione.