Sull’utilità e il danno della storia del cricket per la vita

Certo, noi abbiamo bisogno di storia, ma […] ne abbiamo bisogno per la vita e per l’azione, non per il comodo ritirarci dalla vita e dall’azione, o addirittura per l’abbellimento della vita egoistica e dell’azione vile e cattiva. Solo in quanto la storia serva la vita, vogliamo servire la storia.” (Frederich Nietzsche)

di Gigi Marchitelli

Vi confesso che per chi, come me, mastica un poco la storia vedere il farsi della storia, sentire i protagonisti rendere testimonianza di se stessi e rendere memoria delle proprie azioni e del proprio vissuto ha un che di esaltante. È il caso del libro che presentiamo qui, che è tra l’altro un sequel e un’anticipazione. Un sequel, perché si tratta del secondo volume di una trilogia di cui abbiamo già parlato: un’anticipazione perché non abbiamo dovuto attenderne l’uscita (prevista a giorni) per poterlo leggere. Cosa per la quale dobbiamo ringraziare l’editore.

Parliamo, ancora una volta, di cricket, questo sport così britannico e al tempo stesso così esotico di cui ogni tanto ci occupiamo qui, senza riguardo per il fatto che in Italia sia poco seguito (in Italia, appunto. Con oltre due miliardi e mezzo di appassionati, concentrati in Asia ma con realtà importanti in ogni continente, è il secondo sport più seguito al mondo, dopo il calcio). E parliamo di Simone Gambino, che del cricket italiano è sicuramente il padre.

Ne Gli anni clandestini Gambino ha raccontato gli inizi del cricket italiano, dai primi approcci nel 1974 al riconoscimento della Federazione Cricket Italiana da parte del CONI (1997). Ora, in questo Ius sanguinosi, ius soli. Il cricket, la fucina dei nuovi italiani la storia riprende esattamente dove è stata lasciata, a quel 1997 che prepara la vittoria italiana sull’Inghilterra (l’Inghilterra!) ai campionati europei dell’anno seguente, per approdare al 2009, l’anno del terremoto de L’Aquila – già, i fatti vengono collocati nel loro contesto, fatto tanto più utile quanto più il tempo trascorre, per valutare in prospettiva gli eventi narrati – e, per quel che riguarda il cricket, all’assegnazione all’Italia dell’organizzazione del World Cricket League Division 4, un impegno importante che per la prima volta vedeva protagonista il nostro Paese. È stato anche l’anno della morte di Doug Ferguson, l’uomo che dalla seconda metà degli anni novanta all’inizio del nuovo aveva allenato la nazionale. Come si dice in chiusura, il 2009 fu “un anno di trasformazione radicale da cui non si sarebbe potuto più tornare indietro e nel quale un movimento sportivo d’un migliaio di praticanti era diventato lo splendente faro che illuminava la strada dell’Italia del terzo millennio verso l’integrazione”. Di cosa si parla? Ma dello “ius soli” sportivo, naturalmente. Perché, oltre ad avere un suo sviluppo, tenacemente perseguito da Gambino e attentamente raccontato nel suo libro, senza nascondere intoppi, passi indietro e delusioni, il cricket italiano in quegli anni ha fatto da apripista per la spinosa questione del riconoscimento del diritto per chi è nato in Italia o vi ha compiuto tutto il ciclo di studi di essere cittadino italiano. Una questione di cui abbiamo già parlato, in queste pagine e che dovrebbe essere affrontata globalmente e razionalmente dal nostro Paese, che si ritrova ad essere Paese di emigrazione molto più che di immigrazione, con conseguente invecchiamento della popolazione e depauperamento economico.
Lo dice chiaro Luca Massimei [segretario dell’associazione degli ex-alunni del Liceo Ennio Quirino Visconti, dove il cricket ha iniziato a essere giocato in Italia, cfr. il primo volume, Gli anni clandestini] nell’Introduzione: “nella gestione politica di uno sport non si affrontino soltanto questioni tecniche e regole da rispettare bensì ci si ritrova inevitabilmente a vivere, capire e affrontare i cambiamenti della società in cui viviamo”. 
La questione “Ius sanguinosi vs. Ius soli” è al centro del volume non solo a causa delle nostre politiche nazionali, ma anche perché Gambino, come presidente della Federazione italiana, si è trovato, a un certo punto tra l’incudine e il martello: L’International Cricket Council (ICC), massima autorità del gioco del cricket, basava infatti le sue regole sulle consuetudini anglosassoni per quanto riguarda la cittadinanza dei giocatori. Lascio al lettore l’approfondimento della questione nel libro. Tra strappi, riconciliazioni, fughe in avanti e soluzioni all’italiana, il cricket e Simone Gambino sono stati veri propri apripista per trovare una soluzione equa, giusta e solidale al problema della cittadinanza degli atleti di ogni sport (e, se possiamo dirlo, di tutti quei nuovi italiani che darebbero davvero nuovo sangue alla nostra demografia e anche alla nostra economia).
Nel complesso, stiamo vedendo in divenire un lavoro che, una volta concluso con il terzo volume, costituirà la memoria vivenente del cricket in Italia, una pietra miliare per questo sport e per la sua collocazione nella società italiana. Diciamo solo che il tutto si intreccia con la puntuale ricostruzione dei campionati, degli eventi, delle problematiche insomma di tutto quanto è accaduto sui campi da gioco, negli spogliatoi, nelle sale da riunione e in altri luoghi ancora relativo al cricket nel nostro Paese negli anni considerati. Un vero e proprio diario completo e definitivo che, tra l’altro, ci fa invidiare molto la memoria dell’autore. Attendiamo quindi il terzo volume, l’attualità e, chissà, un quarto, dove si racconterà come il cricket sia diventato uno degli sport più praticati nel nostro Paese.

“Dov’è il danno che sta nel titolo?” – si chiederà ora il lettore curioso – “oppure l’articolista voleva solo fare il verso a Nietzsche?”. Sì, forse, un pochetto. Ma un pericolo, qualcosa a cui fare attenzione in questi tempi di pandemia, effettivamente c’è in questa lettura ed è: la passione – in questo caso la passione di Simone Gambino per il cricket – è contagiosa.

Ius sanguinis, ius soli. Il cricket, la fucina dei nuovi italiani
di Simone Gambino
editore: Fuorilinea, 2023
pagine: 344
prezzo: 20 euro

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