L’anno del Leopardo Bianco
Il fascino di scalare una montagna inviolata è anche questo: decidere la via in base all’istinto e alla valutazione del momento. Non esistono relazioni da consultare o altri alpinisti che l’hanno già scalata che possano aiutarti con i loro consigli, è magia mischiata alla paura per i pericoli che devi affrontare e all’angoscia di non riuscire. ” Cala Cimenti, Sdraiato in cima al mondo
di Gigi Marchitelli
Con la conquista dell’Everest e degli altri ottomila molti danno per scontato che nel mondo dell’alpinismo non ci siano più sfide. Sbagliato. Fermo restando che uno scalatore vede ogni montagna come una sfida personale, a prescindere da quante volte sia stata scalata, ci sono un’infinità di imprese ancora da compiere. Il fatto è che spesso si tende a confondere “più alto” con “più difficile”. Ma non è così.
Sono ancora molte le vette inviolate per difficoltà tecniche, impraticabilità dei luoghi (pensate alle montagne della Groenlandia) o anche per motivi religiosi. Il Gangkhar Puensum è forse la montagna inviolata più alta del mondo, con i suoi 7.570 metri: si trova nella catena dell’Himalaya, in Buthan, paese che proibisce l’alpinismo per rispetto alle credenze del suo popolo, che vede le montagne come dimore degli spiriti.
La prima scalata assoluta del Gasherbrum VII (6.955 metri), per esempio, è stata portata a termine in perfetto stile alpino (senza bombole di ossigeno o altri supporti) solo nel 2019 dall’alpinista torinese Carlo Alberto “Cala” Cimenti che racconta l’impresa – e la salita di pochi giorni prima al Nanga Parbat – in Sdraiato in cima al mondo: dire salita è però dire poco, la sua specialità era la discesa delle montagne scalate con gli sci. Si tratta quindi di vere e proprie performance sportive ad alto rischio, in un ambiente estremo.
Cala Cimenti è stato, tra l’altro, l’unico italiano a ricevere il titolo di Snowleopard (Leopardo delle nevi) massimo riconoscimento alpinistico nell’Unione Sovietica, ancora oggi riconosciuto agli alpinisti che abbiano scalato le 5 cime sopra i 7000 metri dell’ex Unione Sovietica, titolo ottenuto nel 2015 dopo la scalata del picco Ismail Samani.

Il Gasherbrum (in lingua Balti significa “bellissima montagna”) costituisce un gruppo di vette nella catena del Karakoram, al confine tra Pakistan e Cina. Le prime delle sue cime sono tra i 14 ottomila della Terra, ma anche le altre vette non scherzano in termini di difficoltà.

Il libro di Cimenti è una specie di diario delle imprese compiute nell’estate del 2019 tra le vette più alte del mondo e parte dal momento più difficile: l’incidente occorso al suo compagno di salita, che però non aveva raggiunto la vetta, Francesco Cassardo, nel corso della discesa del Gasherbrum VII: 450 metri di caduta, rotolando “testa-piedi, testa-piedi” fino a quota 6.300, durante la quale Cassandro ha perso tutto, zaino e vestiti, rimanendo solo con la maglietta intima strappata.
E qui, sull’angosciante attesa dei soccorsi, con la paura che il compagno non riprendesse i sensi o avesse riportato traumi irreversibili, il racconto torna a qualche giorno prima, con la salita al Nanga Parbat (8.126 metri, la “montagna assassina”, ricordate?) che Cala Cimenti ha affrontato insieme ai russi Vitaly Lazo e Anton Pugovkin, che di questa impresa hanno girato un documentario (Death Zone Freeride, lo potete vedere qui in lingua originale).
Cimenti si era recato ai piedi della nona montagna più alta della terra all’inizio di giugno e insieme ai russi ha subito iniziato la fase di acclimatamento e l’istallazione dei campi lungo la via Kinshofer. Il 30 giugno i tre hanno iniziato il loro tentativo per la vetta, raggiungendo non senza fatica il Campo 3 situato a 6.742 metri il 1 luglio, mentre il giorno seguente hanno raggiunto il Campo 4 a 7.150 metri. Le previsioni del tempo erano ancora buone e così alle 3 di mattina di mercoledì 3 luglio iniziano il tentativo per la vetta, che raggiungono dopo 16 ore di sforzi: “Sono sdraiato in cima al mondo e piango e rido e ti amo” il messaggio inviato alla moglie Erika.
Inizia quindi la discesa con gli sci partendo da una piazzola pochi metri sotto la cima. Pugovkin decide di scendere a piedi. Lazo toglie gli sci a 7.800 metri. Cala Cimenti decide di sciare fino al Campo 4. Non basterà a fermarlo il formarsi di uno zoccolo di neve e ghiaccio sotto gli sci. Rimosso l’ostacolo ricomincerà a scendere lungo la montagna, impiegando 6 ore per raggiungere Campo 4, quando ormai è mezzanotte. Il giorno successivo riescono a sciare fino a Campo 3. Rinunceranno agli sci per affrontare il ripido Muro Kinshofer, per poi riagganciarli e proseguire fino alla fine del ghiacciaio. L’impresa è perfettamente riuscita, la “montagna assassina” è vinta.
Qualche giorno dopo, già bene acclimatato, la scalata del Gasherbrum VII, insieme a Francesco Cassandro. L’attacco alla vetta parte sabato 20 luglio, alle 3 .30 del mattino. Cimenti descrive minuziosamente la salita: è il primo uomo ad affrontare questi passaggi, ha il dovere di lasciare una traccia per chi verrà dopo. Lui arriva in vetta alle 13.24, Cassandro deciderà di rinunciare: l’alta quota presenta condizioni davvero particolari ed estreme, è come essere su un altro pianeta, se non ci si sente in forze, meglio lasciare perdere.
Ma proprio quando inizia la discesa, l’incidente. Cala non può che osservare, senza poter intervenire. Si accerta che Francesco sia ancora vivo, lancia l’allarme, lo riveste, cerca di metterlo a riparo (siamo in alta quota, ricordiamolo), poi decide di tornare all’ultimo campo per recuperare viveri, sacchi a pelo e l’attrezzatura indispensabile. Sarà la scelta giusta: l’elicottero richiesto, infatti, non arriverà. Dopo quasi 24 ore di angosciante attesa, invece, arrivano quattro alpinisti: Denis Urubko (parleremo ancora di questo signore, una delle leggende dell’alpinismo contemporaneo), che ha organizzato la spedizione di soccorso insieme a Don Bowie, Janusz Adamski e Jaroslaw Zdanowich. In cinque trasportano Cassandro al Campo 1, a quota 5.900, dove trascorrono ancora una notte in tenda. Poi, finalmente l’elicottero viene a prelevare il ferito per trasportarlo all’ospedale di Skardu, dove vengono rilevate fratture multiple e congelamento delle dita delle mani e al naso.
Nulla di preoccupante, ma senza la presenza, l’aiuto e anche il sostegno psicologico di Cala, per Francesco, a quota 6.300, non ci sarebbe stato scampo.

Cala Cimenti è morto lunedì scorso, 8 febbraio, durante una normale gita di scialpinismo, insieme a Patrick Negro, un altro sciatore esperto, già capo stazione del Soccorso Alpino di Pragelato. Avevano raggiunto qualche vetta nel primo pomeriggio e poi erano scesi da un canalone a nord, all’imbocco della Valle Argentera, nel territorio del comune di Sauze di Cesana, in Alta Val di Susa (provincia di Torino). Praticamente il cortile di casa. Il distacco improvviso di una valanga che non hanno potuto evitare è stata la causa della morte per i due scialpinisti. Cala avrebbe compiuto 46 anni la prossima domenica, 14 febbraio.
“…mi rendo conto di quanto siamo piccoli di fronte al mondo e al destino, di come un avvenimento improvviso e imprevedibile possa cambiare drasticamente la tua vita, e quindi quanto sia prezioso ogni istante che riesci a vivere appieno.” Cala Cimenti, Sdraiato in cima al mondo

Cala Cimenti, Sdraiato in cima al mondo, edizioni Sperling & Kupfer, Milano, 2020, pp. 208, € 17,90