AlpinismoEditoriali

Quel pasticciaccio brutto della conquista del K2

Torna la storia infinita dell’alpinismo italiano. Con qualche tentativo di revisione e notevoli omissioni.

di Gigi Marchitelli

La storia, più o meno, la vedo così. Un tale (che non nominerò per non fargli una pubblicità che non merita) scrive un libro (idem come sopra) in cui riabilita la incredibile (letteralmente) ricostruzione della conquista del K2 del duo Desio-Compagnoni. Il libro non ha nessuna eco, non viene proprio considerato. Allora il tale scrive una petizione indirizzata al mondo intero dell’alpinismo e al Comitato centrale del Club Alpino Italiano il quale si esprime in un primo momento (delibera del 25 marzo 2023) in termini che sembrerebbero effettivamente revisionisti: salvo ritornare un mese dopo (delibera del 26 aprile 2023) sull’argomento, immagino spinti dall’indignazione generale, per ribadire le verità storiche affermate con forza da Walter Bonatti e ammesse da Lino Lacedelli (uno dei due che sulla cime del K2 ci arrivò per davvero, in quel lontano 1954) che stanno alla base della relazione della cosiddetta “Commissione dei tre saggi” che nel 2004 (cinquant’anni dopo!) chiuse la vicenda. Un comunicato stampa definisce ulteriormente la posizione del CAI. Peraltro, una risposta chiara dall’allora Presidente del CAI Vincenzo Torti c’era stata già nel 2017. Sono passati altri vent’anni, tutti i protagonisti sono sepolti da tempo, ma siamo ancora qui.

Non intendo qui ricostruire tutta la vicenda. Molti libri sono stati scritti sull’argomento, per chi volesse approfondire. Soprattutto, non intendo entrare nel burocratese avvocatesco che tenta di ribaltare con le carte i fatti (ammesso che di questi si possa mai arrivare a capo con certezza. E già questo depone a sfavore di chi quella spedizione ha così malamente organizzato e condotto). Solo qualche considerazione e una sintesi.

La spedizione italiana del 1954

La storia, le polemiche

Per i lettori meno competenti in materia scrivo qui una sintesi dei fatti, senza entrare nei particolari, così come viene esposta ormai in tutto il mondo. Il K2, pur essendo la seconda vetta del mondo, è probabilmente la più pericolosa e quella che ha mietuto il maggior numero di vittime. La spedizione italiana del 1954 riuscì finalmente a raggiungere la vetta il 31 luglio 1954. Il gruppo era guidato dal geologo Ardito Desio (che non era un alpinista e non si mosse mai dal campo base), i due alpinisti che raggiunsero la vetta erano Lino Lacedelli e Achille Compagnoni. La squadra comprendeva un membro pakistano, il colonnello Muhammad Ata-ullah, che aveva fatto parte della tragica spedizione americana del 1953. Della spedizione facevano parte anche Walter Bonatti e il portatore pakistano di Hunza Amir Mehdi, che si rivelarono fondamentali per il successo dell’impresa in quanto trasportarono le bombole di ossigeno a 8.100 metri di quota per Lacedelli e Compagnoni. L’ascensione è controversa perché Lacedelli e Compagnoni hanno stabilito il loro campo a un’altitudine superiore a quella originariamente concordata con Mehdi e Bonatti. Non trovando i compagni, essendo troppo buio per salire o scendere, Mehdi e Bonatti furono costretti a pernottare senza riparo nella “zona della morte”, sopra gli 8.000 metri, lasciando le bombole di ossigeno come richiesto al momento della discesa. Bonatti e Mehdi sopravvissero, ma Mehdi fu ricoverato per mesi e dovette subire l’amputazione delle dita dei piedi a causa del congelamento. Bonatti fu da Compagnoni addirittura accusato di aver consumato parte dell’ossigeno “necessario” a raggiungere la vetta [“necessario” a Compagnoni: Messner e molti altri sono saliti poi in vetta senza alcun ausilio in questo senso, n.d.r.]. Questa accusa fu facilmente smontata da Bonatti per il fatto che le maschere necessarie per poter utilizzare l’ossigeno stavano negli zaini di Compagnoni e Lacedelli. Negli anni successivi sono stati portati alla luce gli sforzi compiuti per nascondere questi fatti e proteggere la reputazione di Lacedelli e Compagnoni come eroi nazionali italiani. È stato anche rivelato che lo spostamento del campo fu deliberato, una mossa apparentemente fatta perché Compagnoni temeva di essere messo in ombra dal più giovane (e bravo) Bonatti. Solo cinquant’anni dopo, nel 2004, venne istituita dal CAI una commissione formata da Fosco Maraini, Alberto Monticone e Luigi Zanzi (i “tre saggi” di cui sopra) che, nella sua relazione, diede sostanzialmente ragione a Bonatti. Questa relazione si vorrebbe rimettere in discussione ora.

Walter Bonatti con Erich Abram nel 1954, durante la spedizione del K2

Uno sguardo più vasto e più profondo

Non tutte le polemiche posteriori si sono concentrate su questi fatti relativi a Bonatti e alle bombole di ossigeno. Che Bonatti abbia fatto il suo, a rischio della vita, è stato appurato anche in sede giudiziaria. Ma la spedizione di Desio non era comunque partita bene fin da principio. Intanto, si dimentica spesso che ci fu una vittima, oltre al povero Mehdi: il 21 giugno, al campo II, morì l’alpinista valdostano Mario Puchoz, 36 anni, a causa di un edema polmonare. Poi c’è la storia degli escusi. Alcuni dei più forti alpinisti italiani dell’epoca, e parliamo di Riccardo Cassin, (che nel 1958 guidò con successo la spedizione italiana al Gasherbrum IV), Cesare Maestri e Gigi Panei, vennero esclusi dalla spedizione grazie a referti medici che in seguito si rivelarono artefatti, palesemente falsificati e sollecitati. Era tutta gente che poteva far ombra a Desio, che a loro preferì Compagnoni, la cui qualità era di aver servito per 18 anni nell’esercito, nel corpo degli alpini. Un perfetto sergente maggiore obbediente agli ordini. È un po’ come se, avendo a disposizione Maradona, gli si preferisse in squadra Fabio Quagliarella, per dire.

E tutto questo non mette in buonissima luce il capo della spedizione.

Anche sulla gestione finanziaria dell’impresa si ebbe da ridire. Ma appunto, Desio sarebbe stato designato capo della spedizione in quanto membro del CNR, uno dei finanziatori dell’impresa. Questo lo fece preferire all’alpinista più famoso del momento, Riccardo Cassin, candidato del CAI, che godeva dell’appoggio del mondo alpinistico, ma non dei finanziatori. Desio, grande organizzatore, mancava di quelle qualità umane necessarie alla gestione di un gruppo. Questo avrebbe anche inciso sul clima generale della spedizione, condizionando i comportamenti degli alpinisti. Se da un lato molti gli furono ostili, Compagnoni gli restò fedele e questo gli valse il merito di essere il prescelto per guidare il gruppo in vetta.
Infine, per la stampa estera e gli ambienti alpinisti internazionali, almeno dagli anni ’60, la versione accreditata è quella di Walter Bonatti, in gran parte riconosciuta anche dal secondo scalatore della vetta, Lino Lacedelli. Qualche esempio? Leggete Muchbetteradventures o RockandIce.

Perché allora rivangare questa vicenda? Riabilitare Desio e Compagnoni? Mi pare un’impresa disperata. Sul fatto che l’Italia abbia posto la sua firma sulla conquista del K2, non ci sono dubbi. Sul come l’Italia abbia portato a casa questa vittoria, ecco, io un’opinione ce l’ho: ci siamo arrivati nonostante Desio, piuttosto che grazie a Desio.
Ma possiamo segnalare un aspetto positivo di questa per altro amara vicenda. Walter Bonatti, negli anni successivi, divenne uno scalatore solitario, fino al ritiro dall’alpinismo estremo a soli 35 anni, nel 1965, dopo aver scalato in solitaria invernale una nuova via nella parete nord del Cervino. Affinò quello stile alpino che, pochi anni dopo, riprese un altro scalatore, segnato da una storia simile e più tragica che abbiamo già raccontato:  Reinhold Messner.

E questo è l’alpinismo che ci piace raccontare.


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