I quattro (più uno) dell’insalatiera
Raccontiamo una squadra. Ma una squadra divisa, frammentata, con al suo interno rapporti difficili, a volte conflittuali, sia tra i giocatori che con chi li guida e allena. Una squadra, una nazionale, che nel momento in cui ha la vittoria a portata di mano viene osteggiata e combattuta nel suo stesso Paese. E nonostante tutto questo, in quegli anni la squadra più forte del mondo». (Domenico Procacci)
di Gigi Marchitelli
Potete scegliere. Il film, 88 minuti, passato al cinema il 2-3-4 maggio scorsi e poi distribuito da Fandango, Sky e Luce. Oppure la serie, in sei episodi di circa 50 minuti l’uno, su Sky.
In tutt’e due i casi avrete un racconto dettagliato della conquista della Coppa Davis nel 1976 a Santiago del Cile da parte della squadra di tennis maschile italiana e di come si è arrivati a questo storico traguardo. Un racconto in prima persona dei protagonisti, innanzitutto: Adriano Panatta, Paolo Bertolucci, Corrado Barazzutti e Tonino Zugarelli. E naturalmente, del capitano non giocatore, Nicola Pietrangeli. Dettaglio non trascurabile: la Coppa Davis del ’76 è l’unica vinta fino ad oggi dall’Italia.
Parliamo di Una squadra, serie (o film) di Domenico Procacci, regista ma soprattutto produttore e fondatore della Fandango. Un progetto di assoluto interesse documentaristico e sportivo, dotato però anche di qualità cinematografiche non indifferenti.
Perché, innanzitutto, “Una Squadra” è frutto di un lavoro di montaggio perfetto. Non troverete una sola frase pronunciata da uno dei quattro che non sia commentata con una movenza del volto di uno degli altri o di tutti e quattro. Uno show continuo che ci porta dentro la storia. Una modalità di narrazione avvincente che porta all’interno della vicenda. Il racconto del viaggio di ritorno in Italia dei quattro dopo un’esibizione in Sudamerica vale da solo la visione.
Procacci ha tirato fuori, come nessuno era riuscito a fare prima, la Panattitudine di Adriano, la Bertoluccitudine di Paolo, la Barazzuttitudine di Corrado e la Zugatudine di Zugarelli. Ma non è riuscito a cavare un sorriso dal volto di Tonino.
Se ne parla, naturalmente, ma non si dà particolare evidenza al dibattito politico che ha fatto da premessa al torneo: da due anni in Cile era nelle mani della feroce dittatura militare di Pinochet, migliaia di morti e desaparecidos: molti, perciò, non volevano che la nazionale italiana andasse a giocarsi la finale contro il Cile, per non dare visibilità al regime.
Prevalse la scelta di andare, proprio per le pressioni del partito Comunista cileno in clandestinità: meglio che la famosa insalatiera vada in Italia piuttosto che sia conquistata dal Cile a tavolino. La raccolta da più fonti di immagini da Santiago, come anche il racconto dei giocatori del clima che si viveva lì, è un unicum che non era mai stato realizzato. Anche il racconto del doppio, dove Panatta e Bertolucci si presentarono indossando magliette rosse (idea di Panatta, così, senza particolari significati ideologici, solo per provocazione: e che in Italia si seppe solo molto dopo, perché la televisione era comunque in bianco e nero) non è particolarmente calcato o esaltato. Ma in quella scelta, andare o no a Santiago per giocare, e nel dibattito politico che accompagnò quella scelta riusciamo a vedere in filigrana i prodromi di tutta la storia italiana che sarebbe venuta dopo.
In Una squadra le dichiarazioni di Panatta, Bertolucci, Barazzutti, Zugarelli e Pietrangeli sono montate ad arte da Giogiò Franchini, spesso e volentieri a generare un contrasto ironico che sottolinea ripetutamente differenze di pensiero, memorie diversamente evanescenti e spesso discordanti, differenze esistenziali nel modo di intendere vita e sport dei quattro giocatori, di quattro uomuni divisi in due gruppi: i viveur Panatta e Bertolucci da un lato, i più riservati (e, per quanto riguarda Zugarelli, con famiglia) Barazzutti e Zugarelli dall’altro. Con Panatta e Zugarelli a fare da estremi opposti nello spettro possibile delle sfumature intermedie, e Pietrangeli…
Nicola Pietrangeli fa da fil rouge dell’intera narrazione e, in qualche modo, da controcanto. Entrato in corsa nell’impresa, mal tollerato dai giocatori, che gli preferiscono il direttore tecnico Mario Belardinelli, nonostante siano trascorsi quasi cinquant’anni resta in convitato di pietra di questo racconto.
Non trascuriamo infine i filmati d’epoca più propriamente documentaristici: riascoltare Guido Oddo che mentre Panatta a Barcellona prendeva a cazzotti sugli spalti uno spettatore al termine di Spagna-Italia commenta in diretta “Mi dicono di dire che è proprio un brutto finale” non ha prezzo.
Procacci ha costruito, in sceneggiatura con Sandro Veronesi e Lucio Bianchelli, e al montaggio con Franchini, quello che ha definito “un documentario che non è un vero documentario”, ma che è una storia bellissima e divertente che pare contenere tutto, tenere tutto in equilibrio, e che è capace di ritmo, ironia, passione. Si ride, spesso e volentieri. Si viene coinvolti dall’epos dei match. Ci si riempie di nostalgia per un tennis bellissimo, elegante, pieno di passioni. Complimenti davvero.

Una squadra, di Domenico Procacci
Nazione: Italia
Anno: 2022
Genere: documentario sportivo
Durata: 88′ (film): 6 puntate di 50′ (serie)
Visibile su Sky o acquistabile in Dvd nella versione film