Re Richard e le sue principesse
I match, è noto, si vincono dentro di noi. Vanno immaginati costruiti in ogni dettaglio, quasi fossero i cartoni di un affresco. Sul campo, poi, bisogna essere svelti a mettere i colori.“ (Gianni Clerici)
di Gigi Marchitelli
Vi dico subito che, nonostante la pioggia di Oscar e l’interpretazione di Will Smith, non si tratta di un gran film. Serena Williams, dall’alto dei 90 milioni di dollari guadagnati in carriera come una tra le migliori tenniste di tutti i tempi si sentiva evidentemente in debito con la sua famiglia ed ecco, producendo questo film, ha almeno in parte pagato questo debito.
Eppure ci sono senza dubbio alcune cose interessanti in questo Una famiglia vincente – King Richard, titolo originale King Richard, regia di Reinaldo Marcus Green, sceneggiatura di Zach Baylin.
Si tratta di un film biografico (si potrebbe anche dire autobiografico) che arriva fino all’inizio della carriera di Venus Williams (Serena sempre un passo indietro, ma con l’aura della leggenda vivente in pectore).
Protagonista è Richard Williams (Will Smith), figlio di immigrati nigeriani, a capo di una complicata famiglia che desidera ardentemente portare al successo (Richard Williams e Oracene Price hanno avuto due figlie femmine, di cui Serena è la più piccola e Venus la maggiore; ci sono poi cinque fratellastri e due sorellastre da un precedente matrimonio del padre, tre sorellastre da un precedente matrimonio della madre, un fratellastro da un terzo matrimonio del padre e un altro ancora avuto da Richard fuori dai matrimoni: un film su questo caos familiare sarebbe stato molto divertente).
All’inizio degli anni ’90 la famiglia vive in California. Richard, convinto che le sue ragazze diventeranno future campionesse del tennis, le allena tutti i giorni nei campi liberi del loro quartiere malfamato e visita instancabilmente i principali tennis club dello Stato per convincere le alte sfere del tennis a prendere le figlie sotto la loro ala. Insistente e autoritario, Richard guiderà e seguirà passo passo le carriere di Venus e Serena (quest’ultima più giovane di due anni dalla sorella), arrivando a realizzare tutti i suoi sogni. Fa però un certo effetto che nelle due ore e venti di film, in cui il tennis dei primi anni ’90 viene passato in rassegna, con attori e attrici che interpretano Jennifer Capriati, Arantxa Sánchez Vicario, John McEnroe, Pit Sampras e allenatori come Rick Macci e Paul Cohen, non si senta mai parlare di gioco, di stile, di tattiche e colpi, ma semplicemente, come da prassi per l’individualismo americano, di convinzione, volontà, umiltà e voglia di vincere. Manco a dirlo, di tennis giocato se ne vede pochissimo, tutto è ricondotto al singolo gesto, al colpo che delle straordinarie doti di Venus e Serena Williams non dice nulla.
Qualcosa di più traspare delle idee educative di Richard, che ritira le figlie dai campionati juniores “per fargli vivere la loro infanzia”, sicuro comunque che la loro bravura le farà rientrare in gioco al momento opportuno. Ogni volta che una ragazza scende in campo non manca mai la battuta, sempre quella: “Divertiti”. Ossia, “È un gioco, non te lo scordare, ma io so che tu lo sai far bene e nessuno ti batterà”.
Come dicevo, Serena manda avanti la sorella maggiore Venus, tenendosi sempre almeno due passi dietro: ma anche la madre, “Brandi” (interpretata da Aunjanue L. Ellis) resta piuttosto sullo sfondo, nonostante l’importanza che si legge in trasparenza nella educazione e nella preparazione sportiva delle figlie. Non so se questo sia dovuto al fatto che Richard Williams e Oracene hanno divorziato nel 2002.
Il monumento è tutto per lui, Richard: come in una favola, i protagonisti sono sognatori di un futuro migliore, convinti che le cose non resteranno così per sempre, in un quartiere in cui è normale sentirsi minacciare dagli spacciatori o assistere ad una sparatoria. Quel che si vuole sottolineare con fin troppa insistenza è che il viatico per la vita migliore non è soltanto il talento innato, ma anche la disciplina morale e l’indissolubile unità famigliare, un caldo ed incrollabile sostegno contrapposto all’ambiente malsano e competitivo dei campionati juniores.
Il rigido modello educativo di Richard, spesso contestato dalla stessa moglie, si nutre di ambizioni, prepotenze e senso di protezione. Di una visione chiara impossibile da scalfire: dal desiderio di tutelare l’infanzia delle figlie, permettendo loro di vivere da ragazzine finché non sarà il momento di tuffarsi nella mischia delle spietate competizioni, all’insegnamento dell’umiltà a quello di non accettare mai nulla gratis. Questa ingombrante figura paterna, “nata per allevare campionesse”, difficile da immaginare nella vita reale ed ammantata di una certa retorica, rimane aperta alla valutazione personale. Può apparire eroica, ma anche terrorizzare, e in questa ambiguità, sia pur sbilanciata sull’abnegazione, il film si svincola almeno in piccola parte dalla beatificazione.
Non c’è invece spazio per il romanzo di formazione in una pellicola in cui l’evoluzione dei personaggi, giovani o adulti che siano, è minima e in cui le giovanissime campionesse restano, per paradosso, comprimarie.
Il racconto sportivo, da parte sua, non ha alcun respiro epico. E poiché il film non è privo di retorica, sembra più il risultato di calcoli sbagliati che una scelta. Sarebbe interessante sapere cosa ne pensa lui, Richard in persona. Il quale è giunto agli 80 anni lasciandosi alle spalle tre matrimoni e tre divorzi, una marea di figli tra cui due campionesse stellari e, in questi ultimi anni, qualche ictus di troppo. Comunque, per quando sarà, il monumento è già pronto.

Una famiglia vincente – King Richard, di Reinaldo Marcus Green
Titolo originale: King Richard
Nazione: Stati Uniti
Anno: 2021
Genere: biografico, sportivo
Durata: 144′
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