Oltre, sempre oltre, fortissimamente oltre

di Nando Aruffo
Buona domenica con Alex Tucci. Architetto del paesaggio, vivaista, giardiniere e soprattutto ultramaratoneta. Sognatore con i piedi per terra
Alex, com’è nata questa passione?
“E’ iniziata dieci anni fa. Ero ingrassato per lo studio e ho deciso che avrei dovuto fare qualcosa: quindi mi sono messo a correre per dimagrire e non mi piaceva. Pensa: facevo un po’ di sport e giocavo un po’ a calcio, in porta. Poi un giorno ho partecipato a una gara di dieci chilometri e quel giorno è scattata la molla: ho cominciato ad aumentare i chilometri prima con la corsa in montagna, poi con le lunghe distanze: è stata una crescita costante”.
Alex Tucci è di Atessa, in provincia di Chieti, nell’Abruzzo dove con un’ora di macchina vai dal mare alla montagna e viceversa. L’anno scorso lui lo ha fatto di corsa.
“L’idea è nata in Nuova Zelanda che è una nazione geograficamente molto simile alla nostra regione. Ho chiamato questo mio viaggio “Mare Amaro”, sono andato da Fossacesia alla cima del monte più alto della Majella: sono partito all’alba e prima delle sette di sera ero al mare. Ho dimostrato che in un giorno si può fare mare-montagna-mare”.
Dall’Abruzzo alla Nuova Zelanda, dall’altra parte del mondo: come mai?
“Finita l’università, avevo voglia di un’esperienza all’estero per imparare l’inglese. Qui studiavo a casa, frequentavo corsi online poi uscivo e parlavo italiano: non era cosa. La Nuova Zelanda era il posto più lontano da casa: sono andato lì con Grazia, la mia ragazza e futura moglie. Nove mesi lavoro e tre mesi di viaggio in viaggio nel Sud Est dell’Asia: esperienza bellissima”.
E’ l’ Asia che ti ha ispirato a dire: ho scalato l’Everest dentro casa?
“L’Everest è alto 8488 metri, è la cima più alta del mondo. Durante il primo lockdown, ho corso su e giù per le scale al caldo: più di 90mila gradini in salita e altrettanti in discesa: in totale più di 180mila gradini. Scherzando ho detto: ho scalato l’Everest”.
Esperienza meno bella e più impegnativa il “Cammino di San Tommaso”, 316 chilometri da Roma a Ortona.
“No, no: esperienza fantastica ed emozionante. L’associazione del Cammino di San Tommaso propone di adottare tratti di percorso al costo di 10 euro al km: con il ricavato tengono pulito il tracciato. Però il primo e l’ultimo chilometro non lo mettono in adozione ma lo danno in premio. A me hanno regalato l‘ultimo chilometro dentro Ortona e quando ritirato il premio ho fatto promessa di effettuare tutto il percorso”.
C’è una motivazione religiosa e non soltanto agonistica in questo tuo cammino?
“Assolutamente sì. Il Cammino di San Tommaso è disegnato davvero bene. Tu passi davanti a luoghi sacri e posti naturalistici meravigliosi. Anche davanti ai cimiteri di notte si respira questa spiritualità ed è molto forte pur avendolo fatto di corsa”.
Hai percorso – anzi: hai corso – in meno di 60 ore (59.42’) con soste ridotte al minimo e praticamente senza dormire. Come hai fatto?
“Non lo so. Sinceramente non lo so. Io e Nereo, uno dei miei amici di Paglieta con i quali vado a correre, siamo i primi ad addormentarci sul tavolo. Però quando corro scatta dentro di me un meccanismo: in quei tre giorni non ho sofferto il sonno. Certo, mi sono allenato e preparato: per un mese non ho preso caffé, il corpo si era disabituato e quando nella corsa ho assunto gel e sostanze con caffeina hanno fatto un ottimo effetto e mi hanno tenuto sveglio. Ho dormito un po’ il venerdì mattina e il sabato a mezzogiorno, poi 15 minuti alle 5 del mattino a Capestrano. In tutto un’ora e un quarto: ma non è stato un problema. Da lì, poi, direttamente a Ortona”.
Visto dall’esterno, darsi all’ultramaratona – e il Cammino di San Tommaso come l’hai fatto tu è una ultramaratona – significa andare oltre alle proprie capacità fisiche e psichiche. Conta di più la testa, il cuore o le gambe?
“Io ho lavorato fino al giorno prima; con mio padre abbiamo un’azienda vivaistica a Piazzano di Atessa. Ci arrivi piano piano ad affrontare un’ultramaratona. Il corpo un limite ce l’ha, è la testa che ti fa andare avanti, la testa conta il 60%. Stavo così bene che all’arrivo a Ortona avrei potuto continuare”.
Sempre visto da fuori, voi ultramaratoneti non siete tanto normali: correte di notte, di giorno, d’estate e d’inverno: sfidate l’impossibile, oltre a voi stessi. Tu però per il Cammino di San Tommaso non sei stato solo: due persone ti hanno seguito con un camper e hai schiantato chi (Roberto Martini) correva con te. Quindi: rischio sì ma calcolato.
“Di questo Cammino posso raccontare una cosa brutta e una cosa bella. La cosa brutta è che Roberto Martini s’è fermato; la cosa bella è che papà mi è venuto incontro a Capestrano. Anche lui è un ultramaratoneta: abbiamo fatto 15 chilometri a piedi insieme a Capestrano poi lui è ripartito in macchina verso Atessa. Quando sono rimasto solo, gli ho telefonato, lui ha girato la macchina ed è venuto a correre con me gli ultimi chilometri. Bellissimo”.
Sfidare l’estremo è una passione di famiglia: tu a piedi da Roma a Ortona, tuo papà Claudio è andato da Atessa a Roma in biciletta.
“Nel 1994 papà e il suo amico Nicola Ceroli sono andati in mountain bike; mamma e io in macchina dietro. Sono cresciuto con il ricordo di questa impresa. Poi quando ho iniziato a correre, mi sono detto: prima o dopo devo fare il ritorno.”.
Il tuo sogno è la maglia azzurra.
“E’ un’utopia, più che un sogno. C’è una Nazionale ultramaratona; ci sono Mondiali, Europei, gare internazionali. Nella Nazionale 100 chilometri noi abbiamo avuto Mario Fattore di Mozzagrogna, vorrei avvicinarmi a lui”.
Stai già pensando alla prossima impresa?
“Visto il virus, la prossima impresa è il matrimonio… E non scherzo. Ora qua è tutto complicato. A livello sportivo non ho cose in mente. Adesso un po’ di pausa: mi devo rilassare. Però le mie non sono imprese: sono viaggi, mi piace chiamarli viaggi. Magari ne farò uno all’estero. Lo faccio di corsa per metterci meno tempo, per questioni lavorative devo fare subito: prima del Cammino mio papà mi diceva: quando torni che abbiamo delle piante da sistemare?”.
All’estero dove pensi di andare?
“Qui sì che si tratta di un sogno. Il sogno più grande è correre il Te Araroa Trail in Nuova Zelanda: sono 3000 chilometri dal punto più a Nord, Cape Reinga, al punto più a Sud, Bluff. Ci sono stato, ho visto arrivare escursionisti dopo cinque mesi di cammino. E’ stato emozionantissimo”.
E noi con lui, anche noi solo a pensarci. Buona strada, Alex. Buna domenica a tutti.
GRAZIE
A Maria Angelucci per l’idea; ad Abruzzo.no per “Mare Amaro”; a Matteo Simone e al blog “Il sentiero alternativo” per curiosità, spunti, aneddoti; a Vittorio Alfieri per avere ispirato il titolo