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Italia mondiale, interessa a qualcuno?

Se uno ferma la palla o cerca di controllarla toccandola due volte consecutivamente,
l´arbitro fischia il fallo e gli avversari fanno il punto. Diabolico ed antistorico:
il passaggio come gesto obbligatorio per regolamento in un mondo che insegna
a tenersi strette le proprie cose, i propri privilegi, i propri sogni, i propri obiettivi”.
(Mauro Berruto, già Commissario tecnico della nazionale maschile di pallavolo)

di Gigi Marchitelli

Cosa avete fatto dal 26 agosto all’11 settembre scorsi? Sì, va bene, qualcuno era ancora in ferie, qualcuno appena rientrato… preciso la domanda: cosa avete visto, in quei giorni? Perché, se ci avete fatto caso, zigzagando tra le repliche trite e ritrite, un giorno su un canale, un giorno su un altro, è andato in scena il campionato mondiale di pallavolo, oganizzato da Polonia (campione del mondo 2014 e 2018) e Slovenia. Ho visto quasi tutti gli incontri, appassionandomi a questa squadra giovane, perfettamente allestita da Fefé de Giorgi, unita, al tempo stesso concentrata e spensierata, nessun eroe e tutti eroi che alla fine, palleggiando in leggerezza controvento di fronte ai campioni in carica che giocavano in casa e avevano il favore di un pubblico non proprio sportivo, si è portata a casa la coppa. Campioni del mondo! Campioni del mondo! Campioni del mondo! Già, ma era solo pallavolo, quindi l’entusiasmo sui media è durato pochi giorni (in alcuni casi, poche ore).

Il “nostro” formidabile muro


Bene, mi sono detto, spetta a me rimediare. Vediamo cosa c’è di bello al cinema sulla pallavolo maschile… Nulla. Nulla di rilevante. Un film appena discreto e un ottimo documentario sulla pallavolo femminile, già recensiti. Quest’ultimo racconta, tra l’altro, la genesi dell’unico grande fenomeno culturale mondiale legato alla pallavolo, gli anime e i manga giapponesi che anche in Italia hanno spopolato per anni. Un interessante film cinese sempre sulla pallavolo femminile, Leap (2020), che vedrei volentieri, se non altro perché la coach è interpretata dalla grandissima Gong Li, ma non è ancora arrivato in Italia. Qualcosetta di serie B o peggio. Finito.
Cerchiamo meglio: documentari, serie tv? Zero.

D’accordo, passiamo ai libri, allora. Scartati i manuali tecnici, ci saranno racconti interessanti su uno sport che, se non altro a scuola, tutti abbiamo praticato da ragazzi (tipicamente, per fare un’attività sportiva che coinvolgesse anche le ragazze, ai miei tempi, e quindi con scopi evidenti e interessati). Macché. Un libro per ragazzi, sempre sulla pallavolo femminile, Silvia Biasi che si racconta insieme a Antonella Stellitano (Volevo solo giocare a pallavolo) e, finalmente, l’ottimo Marco Pastonesi che racconta Ivan Zaytsev (MIA. Come sono diventato lo Zar fra pallavolo e beach volley, amore e guerre). Un grande campione, ma un’altra era della pallavolo italiana. Controprova. Se cercate in rete “mondiali calcio 1982” saltano fuori, solo tra i libri italiani, 20 titoli. Diciassette sul CT Enzo Bearzot. Sui mondiali di calcio 2006, 63 libri.

In rete? L’Ultimo uomo ha un bell’articolo di Gian Marco Porcellini sulla vittoria degli azzurri, che in home page si colloca in basso con foto piccola (in questo momento). In evidenza: calcio, calcio, calcio, tennis, calcio, calcio calcio, ciclismo, calcio calcio. Insomma, cosa recensisco io questa settimana? Una cosetta l’ho trovata. È una lettera ai genitori scritta da Mauro Berruto, commissario tecnico della nazionale maschile di pallavolo dal 2011 al 2015 (poi, curiosamente, è stato anche direttore tecnico della nazionale italiana di tiro con l’arco). Penso che i ragazzi della nazionale attuale la sottoscriverebbero senza problemi:

“Cari genitori, mi rivolgo a voi in quanto esseri adulti, razionali e con la testa ben piantata sulle spalle. Preferisco essere proprio io a dirvelo, con cognizione di causa e prima che lo scopriate sulla vostra pelle: la pallavolo è lo sport più pericoloso che esista.

Vi hanno ingannato per anni con la storia della rete, della mancanza di contatto fisico, del fair play. Ci siamo cascati tutti, io per primo, il rischio è molto più profondo subdolo. Prima di tutto questa cosa del passaggio… In un mondo dove il campione è colui che risolve le partite da solo, la pallavolo, cosa si inventa? Se uno ferma la palla o cerca di controllarla toccandola due volte consecutivamente, l´arbitro fischia il fallo e gli avversari fanno il punto. Diabolico ed antistorico: il passaggio come gesto obbligatorio per regolamento in un mondo che insegna a tenersi strette le proprie cose, i propri privilegi, i propri sogni, i propri obiettivi. Poi quella antipatica necessità di muoversi in tanti in uno spazio molto piccolo. Anzi lo spazio più piccolo di tutti gli sport di squadra! 81 metri quadrati appena… Accidenti, ci mettiamo tanto ad insegnare ai nostri figli di girare al largo da certa gentaglia, a cibarsi di individualismo (perché è risaputo che chi fa da sé fa per tre), a tenersi distanti da quelli un po´ troppo diversi e poi li vediamo tutti ammassati in pochi metri quadrati, a dover muoversi in maniera dannatamente sincronica, rispettando ruoli precisi, addirittura (orrore) scambiandosi ´cinque´ in continuazione.

Non c´è nessuno che può schiacciare se non c´è un altro che alza, nessuno che può alzare se non c´è un altro che ha ricevuto la battuta avversaria. Una fastidiosa interdipendenza che tanto è fondamentale per lo sviluppo del gioco che rappresenta una perfetta antitesi del concetto con cui noi siamo cresciuti e che si fondava sulla legge: ´La palla è mia e qui non gioca più nessuno´. Infine ci si mette anche il punteggio e il suo continuo riazzeramento alla fine di ogni set. Ovvero, pensateci: hai fatto tutto benissimo e hai vinto il primo set? Devi ricominciare da capo nel secondo. Devi ritrovare energia, motivazioni, qualità tecniche e morali. Quello che hai fatto prima (anche se era perfetto) non basta più, devi rimetterlo in gioco. Viceversa, hai perso il set precedente? Hai una nuova oggettiva opportunità di ricominciare da capo. Assolutamente inaccettabile per noi adulti che lottiamo per tutta la vita per costruire la nostra zona di comfort dalla quale, una volta che ci caschiamo dentro, guai al mondo di pensare di uscire. Insomma questa pallavolo dove la squadra conta cento volte più del singolo, dove i propri sogni individuali non possono che essere realizzati attraverso la squadra, dove sei chiamato a rimettere in gioco sempre ed inevitabilmente quello che hai fatto, diciamocelo chiaramente, è uno sport da sovversivi! Potrebbe far crescere migliaia di ragazzi e ragazze che credono nella forza e nella bellezza della squadra, del collettivo e della comunità. Non vorrete correre questo rischio, vero? Anche perché, vi avviso, se deciderete di farlo… non tornerete più indietro”.

Mauro Berruto

Questa lettera è stata pubblicata sul volume ´Sogni di gloria. Genitori, figli e tutti gli sport del momento´ della collana ´Save the parents´ di Scuola Holden edito da Feltrinelli, dove si raccontano i tanti sport che possono praticare i bambini del terzo millennio, dai più popolari a quelli talmente insoliti che non li fa nessuno, ma anche le delusioni, la fatica, l’impegno e le frustrazioni dei genitori che accompagnano, partecipano, incitano e subiscono tutte queste attività.

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