Nel nostro Natale, un rombo di tuono
Quella di ‘Nel nostro cielo un rombo di tuono’ non è una storia qualsiasi: è la storia di Gigi Riva, un campione e un uomo vero. La vita di Riva è stata caratterizzata dal rigore morale ed etico di un uomo che ha affermato con forza che non tutto si può comprare. Un uomo con un legame indissolubile con una terra e il suo popolo, la Sardegna. ‘Nel nostro cielo un rombo di tuono‘ racconta la coerenza e il coraggio con i quali Riva ha sempre vissuto, credendo in valori autentici. E raccontare Riva vuol dire anche raccontare un pezzo importante della storia del nostro Paese”. (Riccardo Milani)
di Gigi Marchitelli
Il 7 novembre 2022 questo film “Nel nostro cielo un rombo di tuono” veniva proiettato nei cinema. In poche sale, per pochi giorni, ma io c’ero. E, credetemi, non avrei fatto a cambio con un biglietto per la finale dei recenti – e molto discussi – mondiali di calcio.
Chi, per questioni anagrafiche, non ha vissuto in prima persona l’epopea di Gigi Riva e la vittoria dello scudetto del Cagliari nel Campionato di Calcio ‘69/‘70, troverà nel film “Nel nostro cielo un rombo di tuono” di Riccardo Milani un’occasione imperdibile per conoscere, prima del campione forse più amato fra i giocatori rossoblù e dell’ancora imbattuto bomber della Nazionale, un uomo capace di espugnare il cuore di un popolo. Sarebbe facile associare l’amore dei sardi per Gigi Riva alle sue imprese sportive – raccontate nel film con tensione narrativa trascinante, come in un thriller di cui si è impazienti di conoscere il finale – e di certo il calcio è stato il grimaldello attraverso cui l’atleta si è fatto strada nel cuore dei tifosi, ma Milani, autore anche della sceneggiatura, con la collaborazione del responsabile del montaggio Francesco Renda, è stato capace di far emergere nella pellicola le ragioni intrinseche che hanno fatto di Gigi Riva un sardo “seppure non sardo”, come viene ripetuto più volte nel corso delle 2 ore e 43 minuti del docu-film.
La data scelta per il debutto non è casuale: nel giorno del suo 78° compleanno, Gigi Riva torna protagonista, stavolta sul grande schermo, per raccontare la sua storia, voce narrante di un racconto personale che si intreccia a quello della Sardegna e dei sardi tra gli anni ’60 e ’70; arrivato nell’isola poco più che adolescente, Riva è intimorito da una terra che appare incredibilmente lontana dal suo paese natale, Leggiuno, in provincia di Varese, tuttavia, passo dopo passo, successo dopo successo, le storie – dell’uomo e del popolo sardo – si sovrappongono, fin quasi a coincidere.
Avesse dovuto pagare per giocare a calcio, lo avrebbe fatto lo stesso. Gigi Riva, rombo di tuono (la definizione è di Gianni Brera, dal rumore della palla colpita dal sinistro di Riva, e ho detto tutto), appare come una sagoma nera sul lungo mare, il mare di Sardegna, quel mare minaccioso che non sta fermo neanche di notte (parafrasando l’avvocato astigiano), appare da una nuvola di fumo che lo avvolge seduto in poltrona con una sigaretta tra le dita. “Pensa mai al passato?”, gli si chiede, e torna alla mente una battuta memorabile di Una storia vera di David Lynch, quando al protagonista domandano la cosa più negativa della vecchiaia: “Il ricordo di quando si è giovani…”. Poi, quando a 9 anni perdi il papà, il ricordo si fa anche più duro, in verità. Tre anni vissuti in collegio, non proprio semplici, probabilmente i più formativi, dopo essere cresciuto praticamente nel campetto dell’oratorio, a cinquanta metri da casa, mattina e sera, come fossero primo e secondo tempo con in mezzo l’intervallo di un pranzo consumato alla velocità della luce, di un fulmine, che anticipa il tuono. Costretto a cambiar mano, dalla sinistra alla destra, in collegio, fortuna che non sapevano di calcio e di quel sinistro tuonante, appunto.
Viggiù, Varese e Milano, a volte si giocava anche a piedi nudi perché la mamma non voleva si consumassero le scarpe. Poi la mamma è morta quando Gigi aveva 16 anni, e lui ormai era diventato semi professionista del calcio. A venti anni lo spediscono in Sardegna, non per punizione, ma per giocare con il Cagliari in Serie B. Gigi Riva è andato in Sardegna ed ha rinunciato a tantissimi soldi per restarci. Da quella stanza di albergo si vedeva il golfo di Cagliari ma non era l’Africa. Da lì è cominciato il grande Cagliari. Era già un mezzo sardo prima di raggiungere la terra sarda, il silenzio esce dalla propria casa, fa il suo giro e ritorna nella casa di partenza, appunto quella del silenzio. Il suo gioco è un gioco essenziale, non deve servire, deve soltanto concludere. Un’altra sigaretta, quante fumate anche sotto porta, anche di fianco a De André, che al primo incontro il silenzio ha dominato. Nel continente tutti cominciavano a giocare con la maglia numero 11, anche quel raccattapalle che si fratturò un braccio a Roma provando di bloccare un fendente di Gigi. Era il 1970 e il Cagliari, dopo anni di piazzamenti prestigiosi, cominciava l’agognata, quanto insperata, cavalcata tricolore.
Nel film, la storia del Cagliari che contro ogni pronostico o “potere forte” vince lo scudetto, si affianca alla tenacia degli abitanti di Orgosolo, che a Pratobello manifestano il dissenso per la nascita del poligono di tiro dell’Esercito Italiano, e rappresenta il riscatto degli emigrati sardi, lontani dalla loro terra e costretti a uno stile di vita che mira a eroderne l’identità: il film di Milani travalica l’impresa sportiva e individua in Gigi Riva il simbolo della sardità più autentica, che diventa ancor più fulgido quando “rombo di tuono” rifiuta di trasferirsi al Nord, alla Juventus di Giampiero Boniperti e all’Inter di Angelo Moratti, e decide di restare in Sardegna, dove guadagnerà meno denaro e, quasi certamente, vincerà meno trofei.
Dal 1963 non è più andato via, ridendo poco, dormendo poco, fumando molto. Si è ritirato nel suo appartamento, ormai, ma il suo mito attraversa ogni giorno l’isola, fino a raggiungere la spiaggia del Poetto, ad ammirare l’orizzonte in impermeabile e attendere il prossimo squarcio nel cielo. Il film di Riccardo Milani non soltanto riesce a coinvolgere ed emozionare nella ricostruzione della storia di Gigi Riva, attraverso scene recitate, immagini di repertorio, testimonianze di colleghi calciatori, di amici, conoscenti, ma ha anche la capacità di portare dinanzi alla telecamera un uomo lontano anni luce dalla ricerca della notorietà mediatica fuori da un rettangolo verde, mostrandolo con pochi gesti, parole essenziali e soprattutto nella sofferenza e nella gioia di una vita vissuta inesorabilmente a braccia aperte. Quelle braccia aperte, in esultanza dopo ogni goal, ci accolgono per incontrare l’uomo e il campione assoluti, fuori dal tempo ormai, come l’ultimo dei Mohicani, Rombo di Tuono.

Nel nostro cielo un rombo di tuono
di Riccardo Milani
Italia, 2022
Durata: 165′
Genere: sportivo, documentario, biografico
Dove vederlo: per chi lo ha perso al cinema, abbiate pazienza, prima o poi su qualche piattaforma comparirà