Giocare a scacchi con il potere
Putin è un problema Russo e sta ai russi risolverlo, ma diventerà presto un problema regionale e subito dopo un problema mondiale se le sue ambizioni continueranno a essere ignorate.” (Garri Kasparov, 2015)
di Gigi Marchitelli
Chi dice che lo sport inebetisce le masse? A volte, invece, può essere utile per capire meglio la realtà. Così, questa settimana non parleremo di sport, ma del libro di un grande sportivo, campione mondiale di scacchi. Un libro di qualche anno fa, ma quanto mai attuale e da leggere attentamente.
Non fa giri di parole, Garri Kasparov nel dire che quella di Putin è una dittatura. Come potrebbe non esserlo, dato che in Russia mancano la libertà di stampa, un partito d’opposizione, trasparenza ed apertura economica?
Nativo di Baku, sangue armeno ed ebreo (il vero cognome è Vajnštejn, come fanno notare sempre più spesso i sempre più fanatici ultrapatrioti russi), enfant prodige degli scacchi, campione del mondo per molti anni di seguito (dal 1985 – quando aveva solo 22 anni –al 2000), Garri Kasparov – «il più grande scacchista di tutti i tempi» – nel 2005 si è ritirato dallo «sport più violento che esista» per dedicarsi quasi esclusivamente all’impegno politico, all’opposizione. È stato leader e fondatore del Comitato 2008: libera scelta, poi del Fronte Civile Unito, di Solidarnost’. Nella sua nuova carriera di dissidente – sì, ne esistono ancora in Russia, e il loro destino è purtroppo facile da prevedere: prigione (come Chodorkovskij), incontri ravvicinati con sicari dalla mira infallibile (come Anna Politkovskaja, Boris Nemcov), emigrazione (come lo stesso Kasparov, che dal 2013 vive in esilio volontario negli Stati Uniti) – ha conservato lo stile che caratterizza il suo gioco: rapido, irruente, implacabile. Dall’altra parte della scacchiera c’è ora Putin, di cui ripercorre la breve marcia verso il potere autocratico, fino al trono di Capo dei capi, Boss della lobby cleptocratica. Le fasi dell’avanzata sono scandite da “operazioni militari”: le atrocità che durante la seconda guerra cecena trasformarono Groznyj nella «città più devastata della terra», l’intervento armato in Georgia (2008), l’invasione dell’Ucraina nel 2014, in violazione del memorandum di Budapest e delle più elementari norme del diritto internazionale. E ora lo stesso modello è riproposto per l’intera Ucraina, come sappiamo.

E tuttavia, sostiene Kasparov, Putin non è un abile stratega; non ha la stoffa del condottiero né smania di diventarlo – «è soltanto un giocatore di poker d’accatto, che trova davanti a sé una debole resistenza da parte di un mondo occidentale diventato così allergico al rischio da preferire passare la mano invece che scoprire il bluff». Col tempo, invece, ha elaborato un’astuta strategia per manipolare la popolazione che inizialmente aveva visto in lui il leader capace di liberare il Paese dagli odiati oligarchi, per guarirla dal complesso di inferiorità nei confronti dell’Ovest (che avrebbe umiliato la Russia dopo il disfacimento dell’Urss) tramite una martellante campagna nazionalista: «Noi abbiamo salvato l’Europa dal fascismo ed è fascista chiunque sia contro di noi», con la conseguente rivalutazione di Stalin, generalissimo dell’Unione Sovietica.
Simile a ogni piccolo o grande dittatore, continua Kasparov, Putin sente la perversa necessità di celebrare riti democratici come elezioni, referendum, processi – dagli esiti, sappiamo, ampiamente scontati. Ai propri sudditi concede dosi omeopatiche di dissenso tollerato, un’illusoria libertà di parola (del resto perché censurare quando si possono acquisire, con le buone o le cattive maniere, tutti i media?), un simulacro di stabilità economica (ma il 15,9% della popolazione, ossia 22,9 milioni di russi, vive sotto la soglia di povertà, e non solo nella sterminata provincia).
Della rabbia e del dolore di Kasparov fa le spese anche l’Occidente che si limita, ogniqualvolta vengono trasgrediti i diritti di singoli individui o di interi paesi, ad auspicare «indagini rapide e trasparenti», a «fiacche dichiarazioni che escludono dai tavoli di negoziazione le minacce e il potere individuale, uniche cose di cui si preoccupa Putin…I gesti di pace sono per lui manifestazioni di debolezza». L’Occidente che intrattiene rapporti di affari con una classe politica vergognosamente corrotta… Realpolitik o ignoranza? Ottimismo immotivato circa la vera natura di Putin oppure cinismo, paura? «Sanzionare…è una presa in giro, e in effetti le élite del Cremlino hanno tutte le ragioni per sghignazzare», tuona Kasparov, sentendo soffiare dall’Est venti sempre più gelidi. E propone: «imponete sanzioni alle élite che appoggiano Putin, state dietro a tutti i familiari che usano per nascondere all’estero le loro fortune e fate le pulci alle loro società…». Ha in odio la «retorica della distensione» ma non è un guerrafondaio; unica via d’uscita gli appare quella indicata da un suo idolo (l’altro è Sacharov, la cui morte, nell’ ’89, ha inciso sui destini della Russia postsovietica molto più di quanto non si pensi comunemente), Vaclav Havel: «Fermezza, perseveranza e trattative da una posizione di forza sono l’unica cosa che Putin, Kim Jong-il e i suoi simili comprendono…».
«Dobbiamo costruire un sistema fondato su valori che sia abbastanza forte da resistere al virus dentro casa, abbastanza intelligente da arrestarlo prima che si diffonda e abbastanza coraggioso da estirparlo lì dove prolifica».
Con queste ultime quattro righe si chiude il libro; con queste stessa frase è possibile riassumere lo stesso volume e il pensiero di tutte le persone che, pur avendo paura, aspirano a un mondo giusto e libero.
L’inverno sta arrivando è un’ampia e articolata considerazione che si sofferma principalmente su Putin; partendo dal suo esordio in politica, passando dalla sua crescita e arrivando infine al suo apice come tiranno indiscusso della Russia e persona di riferimento (almeno fino a cinquanta giorni fa) dalle principali potenze mondiali (anche democratiche). Il libro è stato scritto dopo l’occupazione militare di una parte dell’Ucraina (precisamente della Crimea e dopo anche molteplici occupazioni di molti altri paesi indipendenti), ma prima dell’invasione totale e indiscriminata di questo febbraio (è stato, infatti, pubblicato per la prima volta 2015).
L’inverno sta arrivando è un’inquietante ma magnifica riflessione per capire, a distanza di sette anni dalla sua pubblicazione, come mai un uomo abbia dichiarato una guerra totale a uno stato europeo senza aver paura di nessuna ripercussione.
Aggiungo un’ultima considerazione. Quando il libro uscì in Italia, nel 2016 – ma immagino sia stato lo stesso ovunque – un folto nugolo di “sovranisti” si scatenò per screditare il libro e l’autore, bollato come “liberal-democratico”, “servo dell’Occidente” e (non detto chiaramente, ma fatto capire) “ebreo”. Per me, una prova in più che Kasparov ha colto nel segno e che quanto sta accadendo si stava preparando da tempo. In passato era l’Occidente a promuovere un’azione di controinformazione. Oggi è la Russia che, oltre ad assicurare a Putin un controllo totale dei media nazionali, ha costruito una rete di media internazionali con il compito di confondere le acque, disinformare, alterare la realtà. E non sottovalutiamo (vale anche per l’Italia, inutile illudersi che non sia così) la valanga di sostegno (temo non solo spirituale) che arriva (o arrivava? vedremo) pure in Occidente per alimentare la propaganda putinista.

L’inverno sta arrivando. Perché Vladimir Putin e i nemici del mondo libero devono essere fermati
Winter is coming
di Garri Kimovič Kasparov
traduzione di Valentina Nicolì
editore: Fandango libri
pagine: 256
prezzo: 22 euro