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Gibsy che prese a pugni il nazismo

“Tutto il peso in ogni colpo” la voce di Zirzow. Scaricò il peso che gli rimaneva nella torsione. Una molla che tornava al punto di partenza. E per un attimo, ancora, un istante infinito, il montante scivolò nella guardia di Cornelius, intercettò la mandibola, lo scatto dei denti. Il kapò che veniva sbalzato a un metro dal colpo. Gli occhi del lupo. Per un’eco appena nel tempo, Johann fu di nuovo Rukeli. Il mio nome, pensò, a schiudere il senso di tutta la sua esistenza. Lo affidò agli alberi, fuori da lì”.
Mauro Garofalo, Alla fine di ogni cosa


di Gigi Marchitelli

La Shoah dello sport ha numeri spaventosi, sessantamila atleti persero la vita nei campi di sterminio secondo lo storico Sergio Giuntini (autore di Sport e Shoah, ed. Giuntini, Firenze) e di essi ben 220 erano stati campioni olimpici, mondiali e nazionali, star del calcio o dei ring, detentori di record e trofei internazionali. Tra questi c’è Johann “Rukeli” Trollmann, campione tedesco dei medio massimi nel 1933 a cui però, in una Germania già nazista, venne negato il titolo. Poteva essere zingaro un campione tedesco nella Germania degli anni ’30?
Sulla sua vita sono stati scritti nel 2016 due romanzi; il primo di un romanziere esordiente, Mauro Garofalo, il secondo di un premio Nobel per la letteratura, Dario Fo. Li ho letti entrambi, per voi.

La storia, intanto. Johann nasce a Wilsche, nei pressi di Hannover, nel 1907 da una famiglia sinti. Le sue caratteristiche spiccano già nel corpo di ragazzino: alto, coi riccioli, secco, nervoso. Immediatamente il piccolo Trollmann diventerà “Rukeli”, “alberello”. Soprannome appropriato, perché, da pugile, è sottile ma agile, abile come un gatto, molto veloce e così mobile con il tronco che non viene quasi mai colpito. I suoi riflessi sono impressionanti, il suo stile “danzato”, leggero, viene criticato dai nazisti perché “poco virile”, ma anticipa il grandissimo Muhammad Ali.
Inizia a praticare la boxe a 8 anni, in una scuola comunale. All’inizio degli anni ’20 diventa campione della Germania meridionale per il club di Hannover di cui fa parte. Nel 1928 partecipa alle selezioni per le Olimpiadi di Amsterdam, ma viene scartato in quanto sinti (il razzismo esisteva prima del nazismo e non è finito nel 1945): verrà scelto un pugile che lui aveva già battuto. Ernst Zirzow, un allenatore e manager di Berlino, lo vede ad Hannover e stabilisce che il ragazzo ha la stoffa del campione. Lo porta a Berlino, dove nel 1929 diventa professionista. Abile nelle schivate e in rapidissimi movimenti laterali per evitare i colpi, con una boxe originale e divertente, Rukeli aveva questa capacità di vedere prima da dove arrivava il pugno, di registrare in anticipo le mosse dell’avversario, e così riuscì a battere rivali molto più grossi. L’ascesa sportiva di Rukeli sembrava inarrestabile: nel 1930 vinse 12 incontri su 13 e divenne un’icona. Orgoglioso, anche: Gibsy, “zingaro”, sarà il soprannome che si farà cucire sui pantaloncini con cui saliva sul ring. Nel periodo tra ottobre 1929 e maggio 1933, vinse 29 incontri su 52 disputati, nonostante il fatto che i nazisti inizino a danneggiarlo, limitarlo, perseguitarlo, con le Sturmabteilung, le squadracce d’assalto, schierate in alto, negli impianti, a deriderlo e insultarlo. Era però un divo, acclamato dal pubblico e benvoluto dalle donne.

Nel 1933 è il destino a presentare un’occasione strana a Johann. Il campione in carica della Federazione tedesca di pugilato, Erich Seelig, è un ebreo e ha subìto diverse minacce di morte: decide quindi di espatriare in Francia. Trollmann si trova così in prima fila per il titolo dei medio massimi. Alla birreria Bock di Berlino combatte contro Adolf Witt per il titolo della categoria. L’incontro viene vinto da Trollmann nonostante i giudici, l’arbitro e tutto lo staff della federazione cerchi di pilotare il risultato in favore dell’ “ariano”. Alla fine a furor di popolo il braccio alzato al cielo è quello di Johann, ma per poco. Dopo sei giorni infatti, viene ridiscussa la validità dell’incontro imponendo di ripeterlo. La federazione non si limita a questo; a Trollmann viene imposto anche di mantenere uno stile “maschio”, pena il ritiro della licenza. Trollmann capisce fin troppo bene cosa sta succedendo ma non fugge, anzi provoca. Completamente cosparso di farina bianca e coi capelli tinti di biondo si presenta sul ring nelle vesti della parodia del perfetto ariano. Si fa prendere a pugni fino al quinto round da Gustav Edler, poi si lascia cadere con un sorriso sulle labbra. Qui inizia la fine. Gibsy è costretto a lasciare la boxe professionistica. Abbandonerà moglie e figlia per paura di coinvolgerle nelle persecuzioni razziali. Vivacchia. All’inizio della guerra verrà anche arruolato e mandato al fronte. Come tanti del suo popolo subirà la sterilizzazione. Poi intervengono i decreti che equiparano i sinti agli ebrei e ne accomunano il destino. Porrajmos, “grande divoramento” e Samudaripen, “uccisione di tutti” sono le parole romaní per indicare lo sterminio di Rom, Sinti, Manush, Kalé e altri popoli nomadi operato dal nazismo.
Alla fine sarà deportato nel campo di concentramento di Neuengamme nel 1941, il cui direttore era Tull Harder, ex centravanti dell’Amburgo e della nazionale tedesca. Non uscirà più dalla persecuzione nazista e nel 1943 sarà portato al campo di Wittenberge sotto falso nome. Viene però riconosciuto da un kapò, ex pugile dilettante, che lo costringe a sfidarlo in un ring improvvisato proprio dentro al campo di concentramento. Inutile dire come finisce, il kapò viene umiliato al secondo round e Trollmann verrà ucciso qualche giorno dopo, per vendetta. Qualcuno dice che fu ucciso a badilate altri con un colpo di pistola.

Mauro Garofalo, giornalista, scrittore e pugile, ha scelto nel suo romanzo di calarsi nel personaggio, aggiungendo qualche elemento di fantasia alle scarne note biografiche del pugile e componendo un racconto avvincente, giocato sulle atmosfere e i colori di Hannover e Berlino, puntando sulla dura routine d’allenamento, tra sacco, corda, quadrato e sparring partner. Garofalo immagina gli stati d’animo di un uomo giunto al culmine del successo e poi travolto dalle inique politiche naziste, ingiustamente escluso e penalizzato. Pasticcia forse un poco con la Storia, anticipando il clima della “Notte dei cristalli” e considerando “soldato” ogni uomo in divisa, in una Germania dove le milizie di partito erano cosa assai diversa dall’Esercito. Ma la storia è efficace, coinvolgente e ben raccontata. Il momento clou, il racconto del match contro Edler, fotografa perfettamente l’incontro, con precisione e rapidità, facendolo diventare emblematico dell’intera vicenda di Johann.

La narrazione di Dario Fo ha l’andamento di una fiaba zingara. Nell’ avvincente affabulazione, si avverte la musicalità del linguaggio parlato, fedele alla cultura orale del popolo zingaro. Lo sguardo sensibile e profondo di Fo conferisce un’impronta particolare alle figure femminili che animano la narrazione: la madre, guaritrice, con la sua autorità ferma e indiscutibile (Johann dirà: “finora il solo padre che ho avuto è mia madre”). Le sorelle, ricamatrici, merlettaie, con le sciarpe di seta da vendere al mercato di Wunstorf, vero sostentamento per la famiglia. La moglie Olga, cosacca, capace di resistere e colonna di sostegno per Johann.
Le vicende del giovane pugile sono ricostruite grazie alla ricerca meticolosa e storicamente ineccepibile di Paolo Cagna Ninchi e Jana Pavlovic, avvalendosi anche di documenti d’epoca. Il romanzo è illustrato da dieci tavole disegnate dallo stesso Dario Fo.
Nella motivazione del premio Nobel a Fo, nel 1997, era scritto: “perché, seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”. Ecco, questo libro – e il suo protagonista – sono perfettamente in linea con quella motivazione.

Solo nel 2003 la Germania riconoscerà il valore e l’autenticità di questa storia consegnando alla figlia Rita e alla famiglia Trollmann la corona di campione dei pesi medio massimi negata a Johann settant’anni prima.

Mauro GarofaloAlla fine di ogni cosa, edizioni Frassinelli, Milano, 2016, pp. 264, € 18,50
Dario FoRazza di zingaro, edizioni Chiarelettere, Milano, 2016, pp. 160, € 16,90

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