Dieci storie dalla vetta all’abisso
Ripartire questa volta… Sono ripartito dopo grossi incidenti. Ma moralmente questa volta credo che abbiamo toccato il fondo. In questo momento vorrei solamente un po’ di rispetto”. Marco Pantani, 5 giugno 1999
di Gigi Marchitelli
Forse l’avete capito, a questo punto: seguo le tracce. Non mi accontento finché non ho esaurito la materia. Approfondisco, annuso, scavo come un cane da tartufi. Il Giro d’Italia mi ha portato a Campionissimi. Da lì, conseguenza naturale, il film Il caso Pantani. Il passo successivo non può che portare al libro di questa settimana, La caduta dei campioni. Un libro che potenzialmente ci apre moltissime altre porte, intanto perché si tratta di una raccolta di racconti dedicati a dieci sportivi di talento che, per mille motivi, nella loro carriera sportiva non hanno realizzato tutto quello che effettivamente avrebbero potuto. Poi, perché gli autori dei racconti scrivono su un sito, L’Ultimo Uomo, che da solo varrebbe una recensione, parlando di sport e media. Ci torneremo, insomma.
Ma veniamo al punto. La caduta dei campioni racconta le storie di chi, baciato dal dono di un talento indiscutibile, lo ha sepolto e si è fermato, un attimo dopo aver raggiunto la gloria e un istante prima del potersi eternare nella storia del suo sport. Alcune sono storie certamente note (Cassano, George Best, Pantani, l’indolente Bargnani che aveva fatto sperare in un futuro della pallacanestro azzurra ricco di trofei), altri sono meno noti al grande pubblico, tutti sono assolutamente godibili.
Cosa c’è di più interessante da indagare, infatti, di gente che dissipa il proprio talento in maniera assurda, come se non gliene importasse nulla? Oppure di atleti che hanno avuto in dono il talento sufficiente per arrivare alle massime competizioni internazionali, ma che poi non hanno avuto l’ossessione di competere?
Andiamo allora a vedere queste dieci storie, scritte con dieci stili diversi. C’è Adriano, il gigante dell’Inter, centravanti di sfondamento che all’ossessione del denaro e della fama preferì il ritorno alla vita con gli amici nella favela, il non doversi più sbronzare a Milano per ingannare la nostalgia. Un brasiliano tutto sommato anomalo, Adriano, che preferiva la potenza al dribbling, la vecchia arma sviluppata dai calciatori neri per evitare tackle violenti che l’arbitro non avrebbe fischiato a loro favore. Si trattava di aggirare simbolicamente ma anche praticamente, ricorda Daniele Manusia, autore del racconto, le regole che impedivano la scalata sociale ai discendenti degli schiavi. Adriano era soprannominato Dinamite e Imperatore, era forte e potente, non aveva bisogno di ingannare se stesso con falsi stili di vita.
Per raccontare Marco Pantani, e spiegare gli abissi dell’animo del ciclista di Cesenatico, Matteo Nucci ricorre invece all’epos tragico, al paradigma antico, a Omero e Platone. Rispetto, dignità e onore sono necessari alla gloria. Allo scalatore che ci ha fatto sognare davanti a ogni montagna mangia-ciclisti, rispetto, dignità e onore sono all’improvviso venuti meno. E allora ecco Marco che, lucidamente, dall’esterno, diventa testimone consapevole della propria corsa verso l’abisso. Agli antipodi rispetto alle vette dove, in prossimità del traguardo, sembrava volersi confondere, dissolversi nelle nuvole, nel sole, nella pioggia.
Non mancano le tristi traiettorie dei predestinati traditi dal destino, che il tempo ha seppellito nell’oblio. Chi si ricorda di Bojan Krkic, il ragazzino che lasciò il Barcellona con il record di 900 gol segnati tra partite ufficiali e amichevoli, più di Messi, più di chiunque altro? Una media di tre goal a partita non è uno scherzo. Sembrava avere l’arroganza dei grandi giocatori e invece, scrive Emiliano Battazzi, lasciato il Barcellona inizia l’esodo verso la normalità. La svolta verso il basso arriva ad appena 17 anni, quando, in vista dell’esordio in nazionale A, ha un attacco di panico. «Ero un ragazzo molto sensibile. La pressione, giocando in una grande squadra, mi ha sormontato. Nel calcio non c’è spazio per le debolezze». È così che Bojan Krkic diventa la storia di un enigma. La storia di un bambino prodigio, e del trascinatore di tutte le nazionali giovanili spagnole. Poi, il nulla.
Alcuni atleti, già di fama mondiale, o che sembravano predestinati a esserlo, oggi vivono solo nella memoria degli appassionati di sport. Come la nuotatrice lituana Ruta Meilutyte . «Sono pronta a un nuovo capitolo della mia vita: voglio studiare e vivere di cose semplici. Crescere, conoscere, conoscere me stessa e il mondo» ha detto al momento del ritiro, a 22 anni, la ragazza che a 17 anni nuotava più veloce di tutte al mondo. «Improvvisamente – scrive Giuseppe Pastore – l’armonia psicofisica in cui ha galleggiato per 3 anni sparisce e non torna più, come un supereroe senza più il mantello».
Il grande enigmatico cestista Andrea Bargnani (Roma, 1985) forse è stato un campione indolente. Alto 213 centimetri per circa 115 chilogrammi di peso, fin da giovanissimo era apparso un eccelso atleta, mobile e preciso. Già nel 2006 era divenuto il primo europeo a essere chiamato al Draft Nba, destinato ai Toronto Raptors. Dopo qualche fisiologico passaggio a vuoto, aveva ottenuto il secondo posto nel premio per il miglior esordiente della Lega. Tra il secondo e terzo anno, problemi fisici e caratteriali, incomprensioni e sfortune avviarono un calo dal quale non è più riuscito a riprendersi bene, come “peggior nemico di sé stesso”, ossessionato dallo sport, pur fra alti e bassi, giocando comunque dieci stagioni e segnando 7971 punti, 73 volte nella nazionale italiana, guadagni per oltre 70 milioni di dollari (detto per inciso: anche io, con 70 milioni di dollari in tasca, diverrei d’improvviso pigrissimo).

E poi c’è Marat Safin, tennista russo, numero uno al mondo per tre mesi all’inizio del millennio, grande, isterico massacratore di racchette dopo ogni errore sotto rete. Un’eleganza innata, la sua, che nascondeva la violenza dei colpi. «Un talento fragile come un’orchidea, bello e triste» lo definisce Emanuele Atturo. Safin si ritira a 29 anni, per lui si aprono le porte del Parlamento russo. «Non sono pazzo, è solo che vivo ogni minuto» ama dire. E poi: «La felicità è non pensare alla felicità». Forse ha ragione lui.
Ancora: l’esempio forse da non seguire dell’istrionico fantasista inglese George Best, i comportamenti non sempre ineccepibili del calciatore Antonio Cassano, l’altalenante commedia dell’inglese centrocampista clown Paul Gazza Gascoigne, il talento arrogante e il genio sregolato del centrocampista Domenico Morfeo.
A volte strani comportamenti rispondono a ragioni evidenti, a volte no, ma se scavate un po’ di più, vi si aprirà un mondo che riguarda in definitiva ognuno di noi, le nostre fragilità, le nostre speranze, il confine sottile fra il conoscere il proprio limite ed il volersi accontentare. Tutti abbiamo dei talenti, pochi, in realtà, sanno farli fruttare. Poi c’è qualcuno che ci prova, si gioca tutto e cade.

La caduta dei campioni. Storie di sport tra la gloria e l’abisso, a cura de L’Ultimo Uomo, Einaudi, Torino, 2020, pp. 208, € 13,50
Adriano di Daniele Manusia
Marco Pantani di Matteo Nucci
Bojan Krkić di Emiliano Battazzi
Rūta Meilutytė di Giuseppe Pastore
George Best di Dario Saltari
Marat Safin di Emanuele Atturo
Antonio Cassano di Tommaso Giagni
Paul Gascoigne di Fabrizio Gabrielli
Domenico Morfeo di Federico Aquè
Andrea Bargnani di Marco D’Ottavi