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Da Weisz ed Erbstein ai giorni d’oggi: per non dimenticare

di Gaetano Borrelli

Árpád Weisz ed Ernő Egri Erbstein (foto glieroidelcalcio.com)

Caro Salvatore,

come sai oggi è il Giorno della Memoria che celebra la Shoà. Attenzione: celebra, non festeggia come è stato detto ieri in una TV. Tu mi dirai se questo evento ha a che fare qualcosa con il calcio, magari in maniera positiva. Se vi sono stati episodi positivi onestamente non lo so, ma mi ha molto colpito un servizio del TG3 sull’allenatore del Bologna nel 1937/38 Árpád Weisz, nome per noi quasi impronunciabile come tutte le parole ungheresi. Weisz era ebreo, era un grande allenatore ebreo che portò le squadre italiane, da lui allenate, alla vittoria: sia l’Ambrosiana Inter che il Bologna. Ancora oggi le sue tattiche, i suoi schemi sono considerati all’avanguardia del calcio. Di fatto Weisz si trovava bene nel nostro Paese dove era stato calciatore e poi allenatore vincendo il titolo con l’Ambrosiana a 34 anni appena.

Poi nel 1938 appare un articolo sui giornali italiani di cui uno titolava “Bonifichiamo il Calcio”, con riferimento alla presenza di ebrei nel campionato. A questo punto la situazione si fece pesante per Weisz e famiglia che fu costretto a riparare in Olanda in pieno campionato 1938 senza che nessuno si chiedesse perché, anche se tutti, tifosi inclusi lo sapevano. Leggiamo su Wikipedia che “Dal maggio 1942, però, la situazione iniziò a peggiorare sensibilmente: la Germania nazista aveva conquistato i Paesi Bassi, gli ebrei furono costretti a portare una stella gialla sulle giacche, Roberto e Clara erano stati espulsi da scuola e lo stesso Weisz non poté più lavorare; il tecnico era stato infatti licenziato dal Dordrechtsche a causa di un consiglio-minaccia da parte del commissariato di polizia”.

Passò poco tempo e lui e la sua famiglia furono deportati ad Auschwitz dove morirono. Attualmente due targhe, una San Siro e un’altra a Bologna ricordano l’allenatore, anche se, magari, lo stadio di Bologna potrebbe essere intitolato a Weisz, almeno a parziale risarcimento per la sua morte certamente avvenuta a causa delle leggi razziali in Italia. Come tifosi questa storia ci addolora e vorremmo essere certi che non si ripeta mai più.

A presto

Maria

Cara Maria,

fai bene ad essere addolorata. Peraltro il dolore per la Shoà si rinnova, ed è giusto che sia così, ogni anno e con il dolore si rinnova la rabbia verso coloro che promossero e verso coloro che firmarono le leggi raziali. Non possono essere perdonati e non lo faremo. Tu hai parlato di Weisz e della sua storia tragica. Io volevo parlarti di Ernő Egri Erbstein, altro allenatore ungherese ebreo che morì con il Grande Torino a Superga. Anche lui negli anni della vergogna allenava il Torino e giocava alla pari con il Bologna di Weisz e anche lui improvvisamente dovette scappare dall’Italia e iniziare un pellegrinaggio per l’Europa che ricorda la canzone Samarcanda nel cui testo viene raffigurata la morte che cerca il soldato che non riesce a sfuggirgli. Erbstein si salvò dai campi di sterminio ma non da Superga. Anche questa storia ci addolora ma, cara Maria, non possiamo dire che queste storie non si ripeteranno mai più nel nostro Paese. Il mondo del calcio non è immune. Esistono seri problemi in questo settore ed è una lunga storia. Te ne cito alcuni.

Aron Mohamed Winter, che fu accolto dai suoi tifosi laziali in modo tale che si dovette giustificare. Aveva un aggravante: nome ebreo e anche di colore. Ronny Rosenthal, prima ingaggiato dall’Udinese e poi rispedito in Olanda dalla società friulana per placare i tifosi che non volevano un ebreo in squadra. Akeem Omolade del Treviso, al suo debutto in Serie B a Terni, fu offeso proprio dai tifosi veneti e applaudito dai tifosi umbri. La domenica successiva, in Treviso-Genoa, i suoi compagni e tutto lo staff entrano in campo con i volti dipinti di nero in segno di solidarietà e le immagini fanno il giro del mondo. Gli insulti razzisti a Ferdinand Coly del Perugia durante Verona-Perugia del 2005.

Sempre a Verona, anni prima, 1996, i tifosi chiesero l’impiccagione dell’olandese Maickel Ferrier e salutarono il suo arrivo con questo striscione: “Il negro ve lo hanno regalato, fategli pulire lo stadio”. Poi Giulio Osarimen Ebagua, nigeriano con cittadinanza italiana: quando giocava nel Varese, i tifosi lombardi gli suggerirono di tornare in Patria durante una partita di Coppa Italia del 2012. Ancora di recente Marco André Kpolo Zoro, al quale fu fatto il verso della scimmia dai tifosi interisti per tutta la partita Messina-Inter e Kevin-Prince Boateng durante un Pro Patria-Milan del 2013. Nel 2014 inizia la stagione delle banane e dei “Romanisti ebrei” o dei Laziali nei forni” e sempre in quel periodo cominciano ad apparire negli stadi le banane, vere o gonfiabili, come segno tangibile, tridimensionale, del razzismo, banane lanciate a Kévin Constant e Nigel de Jong durante un Atalanta-Milan del 2014. Fino ai nostri giorni: gli ululati e i versi da scimmia a Sulley Muntari durante un Cagliari-Pescara del 2017; gli insulti razzisti al difensore senegalese del Napoli, Kalidou Koulibaly, durante la partita con l’Inter dello scorso dicembre; quelli al giovane italiano Moise Kean durante Juve-Cagliari; quelli di questo inizio di stagione a Romelu Lukaku, sempre in Sardegna, e a Franck Kessié, a Verona.

E’ vero, vorremmo essere certi che non vi siano più leggi razziali in generale ma per il razzismo nel calcio non sono così sereno.

Un abbraccio Marì,

Salvatore

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