Costantino, proposte per un ciclismo più sicuro

di Nando Aruffo
Buona domenica con Franco Costantino, presidente uscente dell’Associazione italiana degli Organizzatori di Corse Professionistiche di ciclismo. Dopo otto anni, ha deciso di non ripresentare la propria candidatura.
- Signor Costantino, dal 2013 lei è il presidente dell’A.O.C.C., l’Associazione italiana degli Organizzatori di Corse Professionistiche e dopo otto anni ha deciso di passare la mano. Lo fa per stanchezza o soltanto per scelta anagrafica?
La mia decisione di non ricandidarmi per le prossime elezioni nel 2021 dipende naturalmente dalla situazione anagrafica alla quale corrisponde anche una necessità di apporto all’Associazione di nuove energie ed idee. La mia presenza nell’Associazione data da ben 23 anni perché per 12 anni ne sono stato segretario essendo presidenti prima Mauro Vegni e poi Giovanni Fontanini.
Già alla mia prima rielezione ho invitato a predisporre un rinnovamento che, a mio avviso, dovrebbe aprire l’Associazione anche alle altre realtà del ciclismo, quali le gare del calendario internazionale UCI sia per Under 23 e sia per Juniores. Inoltre guardo anche alla MTB e soprattutto al Paraciclismo. Purtroppo il progetto non è decollato, perché sopravanzato dai problemi immanenti degli organizzatori sotto la pressione della continua evoluzione delle regolamentazioni della UCI e dal suo allargamento del calendario a livello mondiale che ha di molto penalizzato il ciclismo italiano. Ciclismo italiano che peraltro vive una difficoltà derivante dalla situazione economica generale che non offre supporto al movimento. Conto che con la nuova dirigenza si possa avviare il cammino verso un rafforzamento della presenza della nostra Associazione in tutto il movimento ciclistico italiano.
- Il 2020 è un anno difficilissimo per tutti e quindi anche per l’associazione da lei presieduta. Il Covid-19 ha fatto vittime anche per alcune corse non organizzate. Penso a Larciano, per esempio. Era inevitabile?
La difficoltà nel 2020 derivata dalla pandemia indubbiamente ha fatto qualche vittima, però meno del temuto. Il G.P. Industria e Artigianato di Larciano era pronto: a tre giorni dalla gara sono arrivate le disposizioni delle istituzioni che hanno bloccato tutto. Il Tour of the Alps, trattandosi di gara a tappe, ha percepito subito la difficoltà e ha rinviato al 2021 come pure l’Adriatica Ionica di Argentin. L’unica gara che si è svolta secondo il calendario originario è stato il Trofeo Laigueglia. Di contro, bisogna fare onore a coloro che hanno organizzato le altre gare nella situazione faticosa aggravata, a mio avviso, dall’atteggiamento della UCI che si è preoccupata soprattutto di salvaguardare il Tour de France pescando il periodo migliore dei tre mesi a disposizione per tutto il calendario. Nonostante questo, va rilevato che coloro i quali hanno organizzato si sono fatti carico di una serie di adempimenti e accorgimenti che hanno rappresentato un notevole aggravio dei costi proprio quando è venuto a ridursi l’apporto del sistema imprenditoriale.
- Dal mio punto di vista il ciclismo professionistico italiano viaggia a due velocità: c’è la zona scudetto con le corse organizzate da RCS Sport (Giro d’Italia, Tirreno-Adriatico, Milano-Sanremo e Giro di Lombardia su tutte) e una zona di centro classifica con le altre gare (cito per tutte il Giro dell’Emilia e il Trofeo Matteotti a Pescara). Da presidente dell’AOCC come ha cercato di far convivere questo tandem “dispari”?
Non sono d’accordo che il ciclismo italiano sia a due velocità, perché gli organizzatori attuali sono quelli che si sono adeguati ai cambiamenti anche normativi: occorre pensare che c’è stato un momento in cui gli organizzatori erano più di venti, come pure peraltro i Gruppi Sportivi che ora si sono ridotti a tre/quattro. Vero è che nell’AOCC ci sono enti che rappresentano il 95% del calendario e convivono perfettamente sotto il punto di vita qualitativo.
- Uno dei problemi più importanti per voi organizzatori è sempre stato quello dei diritti televisivi e proprio l’anno scorso RCS Sport e il Gruppo Sportivo Emilia di Adriano Amici hanno raggiunto accordi separati con la RAI. Come ha vissuto, lei da presidente, questa scelta che è andata a penalizzare i piccoli (e mi scuso per questa parola che però rende l’idea) organizzatori?
Il problema della gestione dei diritti televisivi ha costituito un momento di tensione che ho seguito direttamente e con attenzione soprattutto perché come presidente mi sono preoccupato di raggiungere l’obiettivo che TUTTE LE GARE avessero una copertura televisiva adeguata, cosa che si è verificata. La divisione si è determinata, perché qualcosa in realtà non ha funzionato e soprattutto perché la RAI ha perseguito una sua strategia commerciale volta a ridurre i costi e a ridimensionare la PMG. Però, se vogliamo approfondire il problema delle coperture televisive, occorre anche considerare che sul sistema incide il calendario della Federazione Ciclistica Italiana che mette sul tavolo delle trattative i suoi eventi (Campionati Italiani, Giro U23, Giro Donne etc.) i quali hanno una incidenza consistente sui costi di produzione. Posso dire, comunque, che nonostante le tensioni il mio obiettivo è stato raggiunto.

- Un altro problema che le sta molto a cuore è quello della sicurezza dei corridori e di tutto il personale al seguito delle corse. Ai sensi del Codice della Strada (Articolo 9, comma 6-bis) una gara ciclistica deve avere una scorta. Si va, a seconda dell’importanza, dalla Polizia Stradale a scendere fino alla “scorta tecnica”. Scorta tecnica come se fosse un trasporto eccezionale. Ma il trasporto eccezionale è visibile, è grande e occupa la sede stradale per un limitato periodo di tempo. Una corsa ciclistica rischia di bloccare il traffico per molto tempo e questo spazientisce l’automobilista, soprattutto nei giorni lavorativi. E’ un problema irrisolvibile? Quest’anno al Giro di Lombardia c’è stata un’auto che si è immessa in corsa e per fortuna il corridore non è finito all’ospedale. Cosa non è riuscito a fare e cosa lascia al suo successore?
Il problema della sicurezza è un problema attualissimo e vitale, sul quale sto lavorando da anni con molta difficoltà per incontrare le “disponibilità decisive” da parte delle Istituzioni coinvolte. Il nocciolo sta proprio nella carenza di norme attuative del Codice della Strada e in particolare dell’art. 9/bis, in quanto l’enunciazione non è accompagnata da una adeguata attività informativa diretta soprattutto agli utenti della strada che, di fronte al contatto con una gara ciclistica, non hanno (oppure fanno finta di non sapere) come comportarsi. Se questo aspetto del traffico fosse adeguatamente affrontato a livello di insegnamento nelle scuole guida, compreso l’esame con i quiz, la gente non avrebbe modo di non sapere o far finta di non sapere.
La questione secondo me è ancora più ampia e riguarda l’approccio a livello non solo agonistico al mondo delle biciclette da parte del Governo perché trascura alcuni aspetti determinanti:
1 – La necessità di rendere obbligatorio il casco per tutti quelli che vanno in bicicletta, come nei paesi che noi indichiamo come civili;
2 – Le piste ciclabili molte volte sono un sistema di propaganda politica: guardiamo l’uso che viene fatto delle stesse e chi le adopra per andare a lavorare o fare la spesa;
3 – L’elemento istruttivo richiamato sopra deve riguardare anche e soprattutto i ciclisti che devono capire che il primo a doversi preoccupare per la propria sicurezza deve essere il ciclista che deve rendersi conto che nel traffico l’elemento più debole e a rischio è lui.
Non sono in grado di giudicare quello che è successo al Giro di Lombardia, posso solo osservare che l’auto è uscita fuori da un edificio privato e quindi non è sfuggita al controllo della chiusura del traffico; la sua svolta a sinistra è stata appunto determinata da un richiamo al quale l’autista ha reagito cercando di togliersi di mezzo. Debbo ritenere che sia stato un vero e proprio incidente. L’atteggiamento inquisitorio della UCI è inaccettabile, però ritengo che questo incidente ponga la necessità di alcune riflessioni per prevenire anche queste possibilità.
- Sempre in tema di sicurezza, facciamo chiarezza sui provvedimenti relativi alla sicurezza dei corridori in corsa comunicati dall’UCI (Unione Ciclistica Internazionale) qualche giorno fa. Le sembrano sufficienti?
Da quando è iniziata la pandemia l’UCI ha emanato di volta in volta disposizioni di carattere generale e ha fatto sempre riferimento, nei particolari, alle norme di ciascun paese coinvolto dalle manifestazioni. Naturalmente, sta a chi organizza eventi e a coloro che vi partecipano rispettare le norme nazionali che a volte potrebbero essere in contraddizione con quelle dell’UCI. Però va osservato, per lo meno per quanto riguarda gli organizzatori italiani, gli eventi del 2020 in realtà hanno mostrato una grande capacità di adeguamento. Non va trascurato, e questo lo dico anche per esperienza personale, che le istituzioni pubbliche coinvolte sono sempre state all’altezza delle situazioni affrontate.
- Terzo tema è l’ennesima circolare sulla chiusura delle strade che indubbiamente vi penalizza: mi riferisco al Ministero dell’Interno che, su pressione dei sindaci, ha tolto ai Prefetti l’autorità di chiudere le strade per consentire il passaggio della corsa. Se questo non è un problema del Giro d’Italia che tutti vogliono, è diventato un problema per la Milano-Sanremo costretta dopo un secolo a cambiare tracciato. La sua idea di coinvolgere l’ANCI (Associazione Nazionale Comune Italiani) non ha ottenuto risultati.
Per quanto riguarda la questione dei rapporti con i Comuni così come si sono presentati in questi ultimi tempi la necessità di un incontro in proposito con l’ANCI si sta realizzando e spero si concretizzi. Chi di dovere ha una mia relazione.
- La FCI ha introdotto due novità.
1) Nel 2021 quasi tutte le gare regionali diventino gare nazionali. (Resteranno gare regionali soltanto quelle in circuito fino a 8 km di lunghezza). In più ogni società potrà schierare al via da 4 a 7 partenti il che significa – per chi non può partecipare a due gare nella stessa giornata – a scegliere fra i propri atleti chi deve gareggiare e chi deve stare a casa, situazione che a lungo andare rischia di creare figli e figliastri all’interno della squadra o rischia che un ragazzo si alleni tanto e corra poco.
2) La Federciclismo ha poi abbassato gli importi per l’organizzazione di tali gare nazionali. Ridotti anche di un terzo i monte premi complessivi della manifestazioni per tutte le categorie. Nonostante ciò gli organizzatori si lamentano: perché?
Non dobbiamo trascurare il fatto che la Federazione Ciclistica Italiana è una istituzione ormai pubblica e come tale si comporta, nel bene e nel male. Da una parte deve adeguarsi anche agli aggiornamenti di regole che arrivano dalla UCI e dall’altra deve guidare l’attività in Italia che ha comunque, soprattutto in campo giovanile, una sua strutturazione che peraltro la pone all’avanguardia in campo mondiale. In particolare questo passaggio delle gare regionali nel calendario nazionali è un passo che doveva già essere compiuto, soprattutto per quanto riguarda il numero dei partecipanti. Non bisogna trascurare il grave problema della sicurezza delle gare e quindi oggi non è immaginabile che una gara abbia dei partenti in numero “incampiente” per le strade del percorso con tutte le conseguenze relative: Un Gran Premio di Mercatale con 400/500 partenti, e su quelle strade, non è più accettabile, appartiene alla storia del ciclismo e lì rimane. Chi gestisce questi settori è la Struttura Tecnica che normalmente raccoglie dai vari operatori gli “umori” che dovrebbero guidare le proprie proposte e decisioni. Come pure per il settore Juniores/Under 23 il passaggio al professionismo è regolamentato da un sistema che in realtà va contro le norme UCI e su questo, in principio, sono d’accordo con la filosofia della federazione che vuol portare al professionismo gli atleti che hanno seguito una trafila di avvicinamento. Però, d’altronde, soprattutto nelle ultime due stagioni, abbiamo visto che si sono affacciati al successo inaspettatamente atleti giovani e questo pone, a mio avviso, la necessità di un ripensamento generale dell’attività regolamentata sia dalla UCI che dalle federazioni nazionali. Non sono in grado di esprimere un parere soprattutto se guardo oggi a quella che è l’attuale società umana la cui esistenza in vita degli individui si allunga e di contro l’accesso all’attività produttiva, e non solo ciclistica, è anticipato rispetto al passato lasciandosi davanti una incognita per il passaggio dalla operatività al “pensionamento” anticipato per fare posto a chi deve subentrare, il che richiede una gestione umana apprezzabile. Questo potrebbe aprire nuovi orizzonti alla gestione del “tempo libero”.
Le critiche degli organizzatori, pure giuste, vanno a scontrarsi però con la difficoltà da parte degli operatori tutti, comprese le squadre. Occorre guardare avanti e mai basarsi sul presente o addirittura sul passato: un imprenditore cerca di adattarsi alle condizioni del tempo che vive se vuole sopravvivere. Il primo atto la Federazione l’ha fatto riducendo i costi che le competono.
- Lei ha una lunghissima esperienza nel mondo del ciclismo professionistico: ha cominciato con Franco Mealli (ideatore della Tirreno-Adriatico) nel Velo Club Forze Sportive Romane: cosa ritiene di aver fatto di positivo nel suo mandato da presidente?
La mia collaborazione con il Velo Club Forse Sportive Romane di Franco Mealli è cominciata solo alla fine Anni ottanta e però è stata molto intensa. Rimpianti per non aver realizzato progetti in fondo non ne ho. Certo avrei potuto fare meglio e di più però non riesco a rimproverarmi di non averci messo impegno ed esperienza non solo ciclistica e resto sempre disponibile a cooperare anche nel futuro.
- Visto che non riusciamo a liberarci di questo Covid-19, nel 2021 lei sarebbe contento se…
L’UCI ha ufficializzato il calendario 2021 lasciando le gare alle date tradizionali, salvo quelle indicate dall’organizzatore. Questo lascia presupporre che l’UCI pensa che la pandemia torni almeno sotto controllo. Naturalmente l’esperienza 2020 ha obbligato il sistema a prendere provvedimenti a tutela degli operatori tutti e quindi, seppure con molti sacrifici, i protocolli predisposti sono stati osservati ed efficaci. Credo che questa esperienza si riprodurrà anche nel 2021 (cioè domani!) perché non è pensabile che ritorni la cosiddetta normalità in breve tempo. Aggiungo che la citata normalità non tornerà così come noi la immaginiamo, il passaggio della pandemia lascerà un suo segno indelebile e a questo dovremo preparaci.
Nel contempo segnalo segni di vitalità nel campo organizzativo e credo che avremo delle buone novità nella prossima stagione, a prescindere dal Covid 19. Quindi io sono già contento per come si presenta la situazione. C’è stata una grossa riflessione in tutto il movimento, Federazione, Lega e operatori, dalla quale spero si attinga per il futuro.
- Come hanno accolto i suoi colleghi, nell’assemblea di venerdì scorso, la sua decisione di non ricandidarsi?
L’hanno accolta, non ho reazioni particolari da segnalare però il messaggio è arrivato a destinazione.
- Lascia sul tavolo problemi irrisolti?
Quelli che sono emersi nel corso dell’attività del periodo della mia gestione sono stati risolti; sono rimasti quelli indicati sopra: sicurezza e visibilità degli eventi.
FRANCO COSTANTINO è nel mondo del ciclismo dal 1970 quando entra nel campo organizzativo grazie a Franco Mealli nel Velo Club Forze Sportive Romane. Ha collaborato negli anni con moltissimi organizzatori: RCS, Trofeo Laigueglia, Trofeo Melinda, GS Emilia. Prima di essere nominato presidente dell’AOCC, ne è stato segretario.