Cittadinanza

Il Presidente del CONI, Giovanni Malagò è tornato sul tema nel corso della presentazione del libro di Simone Gambino

di Gigi Marchitelli

Roma, 14 aprile, ore 11,30 Sala della Giunta del CONI. Tra poche ore Giovanni Malagò farà una dichiarazione alla Luiss di Roma sugli Europei di calcio del 2032 che farà il giro dei media nazionali – assegnarli all’Italia sarebbe un bene perché in questo modo si ammodernerebbero le strutture, leggi gli stadi di calcio. Ma di quello che si dice qui, alla presentazione del libro di Simone Gambino “Ius soli, ius sanguinis. Il cricket, la fucina dei nuovi italiani” edizioni Fuorilinea, già presentato in anteprima su Sportopolis – nessuno dice nulla. E dire che, oltre al Presidente del CONI, all’incontro partecipano numerose personalità. Solo per limitarci agli oratori: Gambino stesso – che, ricordiamo, è il padre del cricket in Italia nonché presidente onorario della Federazione Cricket Italiana – Fabio Marabini, presidente di F.Cr.I., Riccardo Cucchi, già radiocronista Rai e conduttore de La Domenica Sportiva, Federico Guiglia, giornalista ed editorialista.

E di cosa si è parlato, prevalentemente? Di cricket, sì, ma di cittadinanza, soprattutto. Con dichiarazioni, da parte di Malagò, che ricordano molto l’intervento a caldo fatta dopo le Olimpiadi di Tokyo nel 2020. Quello della cittadinanza – nello sport, ma un po’ in tutti i settori della società italiana – è un problema drammatico. Soprattutto per chi in Italia è cresciuto – essendoci o non essendoci nato – ne ha imparato la lingua, ne ha assorbito la cultura, ha iniziato con successo una pratica sportiva, o un lavoro, o quello che volete voi e non si vede riconosciuti gli stessi diritti degli altri. dei suoi amici, dei suoi vicini.
Così aggiungiamo alla già copiosa migrazione di giovani italiani – che vanno all’estero per trovare quelle opportunità che il loro Paese gli nega – la migrazione di questi possibili nuovi italiani che in Italia si sono formati e affermati e che poi trovano altri Paesi disposti a valorizzarli e a dargli in breve ciò che noi qui gli neghiamo o rendiamo di fatto difficilissimo con leggi e regolamenti demenziali. “Quello che potrebbe essere un automatico riconoscimento spesso comporta ostacoli che fanno sì che queste ragazze e questi ragazzi lascino lo sport o meditino di lasciare. Chi è forte riceve magari subito da qualche altro Paese un bel passaporto”. Così Malagò, che ci tiene a sottolineare che non intende tirare per la giacchetta questa o quella parte politica ma “già siamo un Paese con dati demografici a dir poco pietosi, quindi, senza tifare per nessuno, bisogna velocizzare con automatismi certi la cittadinanza di questi ragazzi e in questo viva il cricket e viva Simone che per primo e con più forza ha posto il problema”.

Una questione tecnica è diventata una bandierina politica, a scapito di tutto il Paese: e, come sottolineano tutti, non si tratta in realtà di una contrapposizione di sistemi diversi (Ius soli – ossia cittadinanza per nascita in un determinato luogo vs. Ius sanguinis – ossia cittadinanza per il sangue dei propri antenati) ma di trovare un equilibrio adatto alla realtà italiana di oggi – perché, per esempio negare la cittadinanza a chi, nato altrove, si è integrato nella nostra società e vi ha compiuto alcuni cicli scolastici? – usando il buon senso e, soprattutto, regolando la cosa in modo semplice e con passaggi certi.
Altrimenti, riprende Gambino, la situazione della cittadinanza in Italia è simile a quella di un atleta che si presenti alla partenza dei 100 metri dopo essersi sparato a una gamba. Più chiaro di così…

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