Caro Salvatore, cara Maria, caro calcio senza di te non so stare
di Gaetano Borrelli
Botta e risposta sulla necessità del calcio tra Maria, grande appassionata, e Salvatore, grande denigratore.
Caro Salvatore,
certo tu sei un uomo “anomalo”. Sei l’unico che conosco a cui non piace il calcio. Non hai una squadra del cuore, non segui nemmeno la nazionale e credo che tu sia uno dei pochi che ha perso entrambe le finali mondiali che ci hanno visto trionfare. Ma fino a qui sta bene, come diceva Totò “de gusti non sputazzandum est”. Quello che invece non capisco è il tuo feroce accanimento, da sincero antidemocratico, contro quelli, me compresa, che invece hanno accolto con favore, anzi con gioia, come ha detto anche Michele Serra che tu stimi tanto, la ripresa delle partite di calcio. La domanda è: cosa ti dà fastidio del fatto che, costretti in casa anche con questa clausura parziale, un certo numero di persone, forse la maggioranza del Paese, si metta davanti a un televisore a guardare, con animo pacato quelli che tu continui a definire 22 imbecilli che corrono dietro a un oggetto tondo? A parte che tra arbitri, guardalinee e quarto uomo sono più di 22, vorrei sapere da te perché la passione per il calcio è così nociva anche per le giovani generazioni. Ma poi, io credo, aldilà del piacere del gol o del dispiacere, a seconda di chi lo fa, nel calcio ci siano motivi estetici che da soli ti fanno fare pace con questo mondo malato. Ma dimmi anche perché la tolleranza, che quelli te come predicano non vale per coloro che, senza fare danno alcuno, pongono il loro sedere sul loro divano e guardano un’ora e mezzo circa di gioco. D’altra parte, su questo gioco hanno scritto tanti intellettuali. Giacomo Leopardi, con la sua canzone “A un vincitore nel pallone”, cantava già la bellezza di questo sport. Umberto Saba fu ispirato dalla mitica Triestina per cinque poesie. Il grande Eduardo Galeano, in un libro scritto apposta spiega come il calcio venga pensato dagli uomini di destra: “persone che ragionano con i piedi“, e da persone di sinistra: “come persone che non ragionano affatto“, mentre per lui il calcio è vita, ragionamento, enfasi, momento di gioia, di storia, di anarchia. Ma anche personaggi come Manuel Montalban, hanno apprezzato il rito del calcio e Pier Paolo Pasolini l’ha definito “l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro”. E quindi ben venga il ritorno del calcio di cui non dobbiamo vergognarci, e non vale il tuo ragionamento che la presenza del Covid ci impone modelli di vita più morigerati che limitano le passioni, anche quelle sportive. Il calcio le rappresenta tutte queste passioni: c’è la velocità della corsa, la velocità del pensiero, l’estetica di un gol difficile, la disperazione di chi lo subisce, la gioia di chi lo fa, lo sfottò con l’avversario che si traduce in ironia ma anche la rabbia che comunque è un sentimento. Perché non dovremmo avere o rinunciare a tutto ciò? Anche perché alla fine calcio o non calcio il Covid c’è lo stesso.
Ti abbraccio

Cara Maria,
parlare di calcio con te è come vivere uno stato di osmosi inversa, come si direbbe in termini chimici. Io ho a che fare con una delle poche donne, anche se siete in aumento, che ama spudoratamente il calcio addirittura credo di per sé, ovvero senza nemmeno fare il tifo. Ma se in un tempo lontano qualcuno definì la religione l’oppio dei popoli, oggi al posto della religione abbiamo il calcio ma il giudizio negativo non cambia. Poi tu citi tanti scrittori illustri che hanno parlato di calcio ma di quale calcio hanno parlato? Di un calcio che esiste ormai solo nella tua fantasia. Vediamo invece oggi il calcio che cosa è. È uno dei più feroci business che si basa non tanto sull’evento in sé ma su concetti che per molti non sono comprensibili come ad esempio plusvalenze. E cosa vuol dire? Più che associabile ad uno sport sembra che sia associabile a un mercato degli schiavi dove ne ho comprato uno per due ghinee e l’ho rivenduto per cinque. Questa è la plusvalenza. Vogliamo poi parlare della “intrusione” e della invasività delle televisioni? Parliamone. Ogni settimana assistiamo a una operazione di cucina, il cosiddetto spezzatino che consiste nel separare le partite in modo che si possano guardare in mezzo mondo a seconda dei fusi orari o che la massa di appassionati le possa, volendo, seguire tutte. Diventa allora un’attività quasi a tempo pieno per cui mi metto sul divano il venerdì e mi alzo il lunedì con un intervallo di tre giorni in cui posso guardare le coppe. E ti sembra che questo sia uno sport che abbia a che fare con la normalità e che consenta di sviluppare pensieri di tipo estetico o morale? In tutto ciò poi ci sono le grandi discussioni che ci distolgono da quello che dovremmo veramente discutere. Siamo un Paese, credo unico caso insieme alla Spagna, dove ogni santo giorno che Dio manda in terra escono tre quotidiani sportivi. Allora ti domando: il venerdì anticipano le formazioni, il sabato e la domenica si gioca, il lunedì ci sono i commenti, e gli altri giorni di che cosa parlano? Forse dei calciatori e delle loro acconciature o dei loro amori con veline, starlette e stelline o di una specie di mercato delle vacche aperto 365 giorni all’anno che mette in difficoltà persino la Panini che non riesce a organizzare nemmeno l’album. Ma poi cosa c’è di tanto bello in un mondo dai guadagni esagerati anche rispetto alle prestazioni o al di là delle stesse prestazioni? A differenza di altri sport, ammesso che di sport possiamo ancora parlare, non vi è nel calcio alcuna applicazione dei principi dello sport a cominciare da quello che avviene nei campi dove giocano i ragazzini. Assalto agli allenatori che non fanno giocare il pupo che evidentemente, solo l’allenatore non se n’è accorto, è il novello Maradona; assalto agli arbitri che non hanno visto quell’evidente fallo che rischiava di compromettere la carriera del suddetto Maradona; episodi di razzismo grave che girano ogni volta su questi campi dove “sporco negro” o “sporco ebreo” è una abitudine consolidata. E allora perché dovremmo amare questo calcio? E perché più di altre attività ha diritto di esistenza anche alla faccia del Covid? Magari me lo spiegherai in una delle trecento trasmissioni senza senso che parlano di calcio.
Ti abbraccio
Foto di copertina: pixabay.com