Provaci ancora, Fabio!
DIRITTO E ROVESCIO, STORIE DI TENNIS
di Massimo Grilli
«Allora, Fabio, hai giocato un grande secondo set…», «Perché il primo non ti era piaciuto?, dove ho sbagliato?».
Così un anno fa Fognini ci ringhiò contro, in conferenza stampa, dopo la sconfitta con Sinner nel secondo turno degli Internazionali d’Italia. Non ha mai affrontato con grande serenità il confronto con i giornalisti, il tennista di Novi Ligure (36 anni tra poco più di un mese, il 24 maggio), dimostrazione a nostro parere più di fragilità che di maleducazione, di un bisogno automatico di porsi sulla difensiva, accompagnato dal timore di sentirsi regolarmente criticato.

La settimana del torneo di Montecarlo ci ha regalato, oltre alla soddisfazione per le prestazioni di Sinner e Musetti e il dispiacere per l’ennesimo infortunio di Matteo Berrettini, anche il rammarico per l‘uscita dai primi cento della classifica mondiale di Fognini, una spiacevole coincidenza per chi nel torneo del Principato (saltato quest’anno per un infortunio al piede) visse nel 2019 la sua settimana di gloria, battendo nel suo percorso trionfale anche un certo Nadal, re della terra battuta.
Era entrato in Top Ten il 12 novembre del 2007 (dopo la semifinale raggiunta nel Challenger di Asuncion), e dall’aprile del 2009 non l’aveva più abbandonata, per un totale di 771 settimane, secondo azzurro più presente di sempre nell’era Open tra i primi cento dopo Andreas Seppi (810 settimane), che da parte sua si è ritirato a 39 anni alla fine della scorsa stagione.
Fognini, ora 103º nel ranking (e destinato a scendere da lunedì prossimo di un’altra ventina di posti) ma numero 9 solo quattro anni fa, è stato uno dei protagonisti del rinascimento azzurro nel tennis di vertice, con Cecchinato l’apripista per i recenti successi dei vari Berrettini, Sinner, Sonego, Musetti. Ha vinto nove tornei nel circuito – tra gli italiani solo Panatta, con 10, ha fatto meglio nel tennis moderno – ha battuto quattro volte Nadal e quattro volte Murray, solo con Federer e Djokovic non è riuscito a imporsi (ma Nole comunque lo ha battuto nelle qualificazioni di Roma 2006, un risultato che l’Atp non considera). Ha anche dato tutto in Coppa Davis per i nostri colori, e lo ricordiamo nel novembre scorso a Malaga, talmente affranto dopo la sconfitta in doppio nella semifinale con il Canada da riuscire a spiccicare solo poche parole.
Giocatore dal grande talento ma troppo spesso frenato dagli infortuni e dai tanti fantasmi che coabitano nella sua testa, ha vinto e sofferto, gioito e litigato, dispensato prodezze e perso partite che non doveva perdere, in una sorte di rapporto amore-odio con la racchetta che lo spinge a dire – come ha fatto anche recentemente in una bella intervista a “Ultimo uomo” – di sperare che suo figlio non giochi a tennis.
Ora che la fine della carriera si avvicina, Fognini vuole meritarsi gli ultimi applausi, vuole conquistare il decimo torneo della sua carriera. Il 2023 certamente non è cominciato in modo positivo, su dieci partite giocate ne ha vinte solo due, ma Fabio non è tipo da arrendersi, e se il suo fisico lo aiuterà (nei prossimi giorni la visita decisiva per capire quando potrà tornare in campo) chissà che proprio a Roma, in un torneo per lui stregato, dove ha raggiunto solo una volta, nel 2018, i quarti di finale, non riesca a far parlare ancora di sé per qualche bella vittoria.
«Giocare a Roma non ha prezzo, ma la pressione è altissima, e da giovane non capivo perché i tifosi non mi supportassero quando ero in difficoltà. Poi, credo che mi abbiano compreso, e anche io ho imparato ad accettare che il pubblico avesse delle aspettative, quasi delle pretese, nei miei confronti», ha detto.
E allora forza Fognini, ti aspettiamo con il tuo solito sorriso beffardo, e tutto il Centrale a cantare: «Fabio, Fabioooo…».