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La miglior ala destra del mondo giocava a Sacrofano

Se era in forma, il campo si trasformava in un circo, la palla diventava un animale obbediente e il gioco un invito alla festa. Garrincha proteggeva il suo cucciolo, la palla, e insieme inventavano trucchi incredibili che mandavano in estasi gli spettatori. Lui la saltava e lei rimbalzava sopra di lui. Poi si nascondeva prima che lui scappasse, per poi ritrovarla che correva già davanti a lui. Nella corsa i suoi inseguitori si scontravano tra di loro nel tentativo di fermarlo”. (Eduardo Galeano)

di Gigi Marchitelli

Mané Garrincha, raccontato da Eduardo Galeano in Splendori e miserie del gioco del calcio. Mané Garrincha raccontato da Marco Pastonesi su Radio 3. In suo onore introduciamo un nuovo media e vi invitiamo ad ascoltare il breve podcast che racconta la vita e l’arte calcistica di un giocatore inarrivabile, tecnicamente e umanamente: Manoel Francisco dos Santos, meglio noto come Garrincha o, appunto, Mané Garrincha, detto anche “l’Alegria do Povo”, la gioia del popolo.
Probabilmente la miglior ala destra mai esistita, due volte campione del mondo con la nazionale brasiliana (Svezia 1958, Cile 1962: 50 presenze e 12 reti segnate, contando anche il mondiale in Inghilterra del 1966), per dodici anni (1953-1965) uomo di punta del Botafogo – una delle squadre di Rio de Janeiro, con 236 presenze e 85 reti segnate.

Garrincha in nazionale nel 1962

Nato nel 1933 a Pau Grande, un paese nella regione di Rio de Janeiro, è stato uno degli uomini più amati del Brasile, forse il più amato: per la sua straordinaria abilità di calciatore, per la quale viene ricordato come uno dei migliori attaccanti della storia del calcio, un genio del dribbling. Tra i tanti soprannomi fu detto anche “l’angelo dalle ali storte”: alla nascita gli fu riscontrata una poliomelite che aveva danneggiato gli arti inferiori. Il padre, una guardia notturna, lo fece operare nella speranza di farlo guarire, ma l’intervento gli lasciò una gamba più corta dell’altra di sei centimetri, e deformata. I medici dissero ai genitori che il loro figlio non sarebbe mai stato in grado di camminare correttamente. E non furono smentiti: lui non camminava… volteggiava, svolazzava. Il soprannome di Garrincha gli fu dato da uno dei suoi dodici fratelli – dalla sorella Rosa, per la precisione –  per il fatto che quando lo guardava, “uno storpio dalle gambe storte, tutto pelle e ossa, con la colonna vertebrale storta”, gli ricordava tanto un uccellino che vive nel Mato Grosso, che si chiama appunto così, con la testa grossa, il corpo sbilenco e il canto bellissimo. Ma quello strano uccellino voleva a tutti i costi essere un calciatore, e neanche queste enormi limitazioni fisiche glielo impedirono, anzi, in qualche modo lo agevolarono: quando giocava aveva una “finta” eccezionale, ingannevole grazie alla sua gamba più corta, che lo rendeva tra l’altro anche incredbilmente veloce. L’avversario rimaneva quasi ipnotizzato: non faceva neanche in tempo a rendersi conto di cosa stesse accadendo, che lui era già passato.

Nel 1953, la squadra del Botafogo lo acquistò dal Serrano di Petropolis per la somma di 500 cruzeiros, che rapportata ai giorni nostri equivale a circa 30 euro, e che è forse la cifra più bassa mai pagata in Brasile per un calciatore professionista. Oltre ogni previsione il suo talento si rivelò fin da subito, divenne la stella del Botafogo e, dal 1955, ebbe modo di brillare anche nella nazionale. La mitica squadra del Brasile non perse una partita dal 1958 al 1966: aveva Garrincha e Pelè che giocavano insieme. Proprio nel 1966 Mané, così lo chiamavano gli amici e i compagni di squadra, fece la sua ultima, strepitosa, apparizione sulla scena internazionale ai Mondiali di Inghilterra.

Già da qualche anno però la sua vita era in declino: al di fuori del calcio Garrincha non riusciva a condurre una vita normale, era come un bambino e non sapeva gestirsi, anzi era vittima degli stravizi, dell’alcol, del tabacco. Presto si ritrovò solo, abbandonato da tutti, di nuovo povero. Gli sono stati attribuiti quattordici figli, concepiti qua e là. A causa dell’alcol ebbe incidenti anche gravissimi. Più volte tentò di suicidarsi. Non era bastato a renderlo felice neanche un grande amore, quello con la famosissima cantante Elza Soares, che durò vent’anni. Anche lei aveva avuto una vita travagliata, e neanche insieme riuscirono a trovare la serenità.
Nel 1970 i due vengono in Italia, a Roma. Qui ritrova un amico e compagno del Botafogo, Dino Da Costa, che aveva giocato nella Roma dal 1955 al 1961. Ora allena il Sacrofano, squadra di Promozione di un paese di 8mila anime a 27 chilometri da Roma, tra la Flaminia e la Cassia. Per le regole di allora una squadra di Promozione non può tesserare uno straniero, ma Da Costa è preoccupato delle condizioni in cui l’amico si era ridotto e gli trova comunque un ingaggio: Mané gioca le amichevoli e i tornei organizzati appositamente per lui per 80 o 100 mila lire a partita. Tirava a campare, giocava per divertire operai, ladri e prostitute di borgata. Raccontano che, nonostante la solita leggerezza dell’essere e un ventre un po’ più pesante, dribblasse ancora volando. Dicono, chi c’era ad assistere in quei campi di periferia, che una domenica Mané si inventò un paio di gol direttamente dal calcio d’angolo.

La squadra del Sacrofano nel 1970. Segnato dal cerchio rosso, Garrincha

Spirito irrequieto, tornò in Sudamerica nel 1972 con un ingaggio in un’altra squadra di Rio, l’Olaria. Ma alcolismo e depressione hanno ormai il sopravvento, la sua vita va a rotoli e, del resto, non è una vita: è un romanzo. Senza lieto fine. Mané morirà nel 1983, a soli 50 anni, devastato dall’alcol, esattamente come suo padre. 

Un episodio della sua vita è emblematico di questa personalità, così innocente e fragile. Il Brasile aveva appena vinto il Mondiale e tutti i giocatori del Brasile furono invitati dal loro presidente ad una trionfale cerimonia in loro onore, allo stadio. La coreografia comprendeva una gabbia con dentro una colomba. Quando il presidente disse ai calciatori che aveva intenzione di donare a ciascuno di loro una villa sulla spiaggia, Garrincha gli si avvicinò e gli disse: “Presidente, a me la villa non interessa, ma avrei un altro desiderio: potrebbe liberare quella colomba?”.
Ascoltate la storia di questo straordinario calciatore che, come racconta Pastonesi, lasciava gli avversari “con il culo a terra” sul sito di Rai Radio 3, non ve ne pentirete.

«Quando a un brasiliano parli di Pelè, quello si toglie il cappello. Ma se gli parli di Garrincha, allora il brasiliano si mette a piangere, commosso» (detto popolare).

Wikiradio del 28/10/2021, Rai Radio 3: Garrincha, di Marco Pastonesi

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