E allora, parliamo dei Mondiali…

Riccardo Noury lucidamente propone analisi e riflessioni che devono diventare patrimonio comune di chi ama lo sport e soprattutto di chi lo gestisce a livello planetario”. (Riccardo Cucchi)

di Gigi Marchitelli

Sarà l’assenza dell’Italia, sarà che ci sono altri problemi, ma io di mondiali ho sentito in questi giorni molto poco di calcio giocato, moltissimo di sacchi di denaro buttati un po’ qua e un po’ là per l’Europa (intesa come istituzione) e anche per l’Italia. Una cosa che riguarda la magistratura e che, pare, andrà per le lunghe, perché il Qatar ha dovuto mettersi in fila dietro a moltissimi altri governi non proprio trasparenti e parecchio interessati che da anni seminano denaro a Strasburgo e Bruxelles.
Tornando ai Mondiali: cosa caspita hanno da nascondere i governanti del Qatar per mettersi a giocare al Babbo Natale milionario? Ce lo spiega Riccardo Noury, portavoce della sezione italiana di Amnesty International, in un libro presentato in questi giorni a Roma, nell’ambito di “Più libri, più liberi” insieme al giornalista sportivo Riccardo Cucchi, dal titolo “Qatar 2022, i Mondiali dello sfruttamento”.

“Qui funziona così: fino a quando non sei morto, puoi continuare a lavorare”. Sono le parole di Emmanuel, dipendente di una delle aziende di sicurezza privata che operano in Qatar che ritroviamo nel libro. Nel rapporto pubblicato da Amnesty International, intitolato “Quelli pensano che siamo degli automi”, è stato esaminato il comportamento di otto di queste imprese, la metà delle quali impiega ben 12mila persone, che assicurano la sicurezza di circa quaranta siti.
In almeno sei delle imprese esaminate, si ritrovano le principali caratteristiche del lavoro forzato così definito a livello internazionale: un insieme di lavoro involontario e minaccia di sanzioni.
I lavoratori migranti costituiscono oltre il 90 per cento della forza-lavoro del Qatar. Senza il loro duro impegno, i Mondiali di calcio del 2022 sarebbero rimasti un sogno per chi li ha organizzati.Questo libro racconta le vite sacrificate – oltre seimila, secondo accreditate inchieste giornalistiche – per il trionfo dello sportwashing, la strategia con cui, attraverso l’organizzazione di grandi eventi sportivi, si distoglie l’attenzione dalle violazioni dei diritti umani, e denuncia i limiti estremi cui è arrivato, nello Stato del Golfo, lo sfruttamento del lavoro migrante, nel silenzio del business del pallone.
L’85 per cento degli addetti alla sicurezza intervistato da Amnesty International ha riferito di turni di lavoro di 84 ore settimanali, ovvero 12 ore al giorno per sette giorni, protratti per mesi se non addirittura per anni, spesso senza pause significative, cui si devono aggiungere un’ora per andare sul luogo di lavoro e altrettanto per tornare agli alloggi.
La giornata-tipo di Milton, proveniente dal Kenya, è uguale a quella di migliaia di altri suoi colleghi: “Mi sveglio alle cinque, alle 6,30 devo essere pronto per l’autobus, alle 7,20 arrivo sul posto di lavoro. Il turno va dalle 7,30 alle 19,30. Alle otto della sera inizia il viaggio di ritorno. Va avanti così per mesi, senza un giorno di riposo”.

E c’è da giurare che nemmeno le paghe siano state granché perché i soldi, come abbiamo visto, servivano per rendere ciechi, sordi e muti i pezzi grossi del Parlamento Europeo. Per me, ce n’è abbastanza per distogliere lo sguardo da questi Mondiali. Ma se volete comunque vedere qualcosa di veramente sportivo, in questi giorni, vi segnalo che la docuserie Una squadra, di Domenico Procacci, già da noi recensita, è ora in chiaro su Raiplay. Approfittatene!

Qatar 2022, i mondiali dello sfruttamento
di Riccardo Noury
Infinito edizioni, 2022
pp. 88
euro 12,00

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