Di Rocco: Più giovani e più armonia per un nuovo CONI
A Milano, il prossimo 13 maggio, verrà eletto il presidente del CONI per il quadriennio 2021-2024. I candidati sono quattro: il presidente uscente Giovanni Malagò, Antonella Bellutti, Renato Di Rocco e Franco Chimenti. Di Malagò abbiamo raccontato la conferenza dello scorso 30 aprile; ai tre sfidanti abbiamo chiesto di concederci un’intervista. Chimenti ha fatto sapere – tramite l’ufficio stampa della Federazione Italiana Golf di cui è presidente – che non rilascerà interviste fino al giorno della votazione; Di Rocco, che ringraziamo, è stato il più sollecito a rispondere. Ringraziamo anche Roberta Ceppi per la preziosa collaborazione.

di Nando Aruffo
- Cosa la spinge a candidarsi al CONI dopo tanti anni da presidente della Federazione Ciclistica Italiana?
Non pensavo minimamente di dovermi tuffare in questa avventura. È scattata una scintilla quando mi sono state riportate telefonate dell’attuale presidente a dirigenti molto giovani per indurli a modificare la loro preferenza ai candidati nelle elezioni territoriali ed addirittura a ritirare la propria candidatura: una mortificazione per le loro aspirazioni e i loro progetti in controtendenza con la necessità di coinvolgere sempre più giovani e di lasciarli crescere in libertà con le proprie idee. Per molti aspetti è ciò che abbiamo realizzato nel ciclismo negli ultimi anni dove c’è stato un rinnovamento nei Comitati, nelle strutture periferiche e nelle società, anche con una forte presenza della componente femminile, ben preparata e motivata.

- Ci dica tre punti del suo discorso elettorale che dovrebbero convincere gli elettori.
– Rimettere al centro lo spirito di servizio nei confronti delle società, vere azioniste del movimento sportivo, nei confronti degli atleti e dei tecnici. Nulla di diverso da quanto realizzato nel ciclismo fino ad oggi. Soprattutto nell’ultima dannata stagione (Covid) con la ripartenza ed i ristori, ora sostegni, condivisi con Sport e Salute. In piena autonomia ed utilizzando importanti risorse proprie.
– Sviluppare maggiori sinergie fra federazioni, uniche competenti e responsabili dell’alta prestazione e, ripeto, assicurare un futuro post carriera agli atleti.
– Rimettere in piedi una organizzazione territoriale degna di questo nome. Con la Presidenza di Gianni Petrucci (io dirigente del settore) eravamo riusciti a farne un vero fiore all’occhiello del CONI attivando un rapporto straordinario con il mondo della Scuola. In quel periodo, per esempio, si costituirono i licei a vocazione sportiva, con tre progetti sperimentali per lo sci. Si dovrebbe continuare per tutte le discipline e per gli atleti di alto livello.
- Come pensa di mettere a frutto la sua esperienza di dirigente sportivo?
Credo sia abbastanza semplice replicare il modello di una federazione di alto livello come quella che mi ha formato. Oltre alle esperienze maturate in atletica leggera e soprattutto nella promozione giovanile come dirigente del CONI. I modelli di lavoro sono ancora attualissimi, si devono solo adeguare le modalità di lavoro ed il linguaggio con i giovani, utilizzando tutte le piattaforme di comunicazione per coinvolgerli sempre più.
- Il Covid ha indubbiamente condizionato anche lo sport, non soltanto la vita di tutti noi. In particolare, è evidente il doppio binario tra professionisti e dilettanti: cosa farà il “suo” CONI per gli atleti e per gli sport più poveri?
Ogni federazione ha trovato la sua soluzione, salvo le discipline al chiuso per il perdurare del contagio. Il CONI è mancato proprio in questo: coordinare i buoni modelli di riapertura, le procedure ed i metodi utilizzati in modo che fossero condivisi tra le varie discipline, soprattutto quelle meno attrezzate.
- Il rapporto tra il CONI e Sport e Salute è stato ed è molto conflittuale. Cosa si può fare per appianarlo nell’interesse dello sport nazionale?
La riforma dello sport ormai è avviata. Occorre prenderne atto e operare insieme alle organizzazioni sportive per evitare danni al tessuto sociale anche a causa dell’impatto economico già in sofferenza. Il dialogo è l’unica soluzione, nella consapevolezza che il disagio del Covid ha molto accentuato l’esigenza delle persone per l’attività motoria e il movimento. Dobbiamo saper individuare un nuovo modello sportivo post Covid.
- Il Governo Draghi ha cancellato il Ministero dello Sport: il “suo” CONI si darà da fare affinché venga ripristinato?
C’è una sottosegretaria allo sport (Valentina Vezzali, ndr), grande campionessa, che ha già maturato esperienze governative. Credo che l’esperienza acquisita sia davvero utile e strategica per mettere a sistema la riforma, smettendo di contestare senza costrutto, impegnandoci invece a trovare una soluzione utile alla base del sistema e non al vertice.

- L’autonomia dello sport italiano, argomento scottante che ci è quasi costato una sanzione del CIO: va tutelata, protetta, garantita?
La questione è stata affrontata alzando i toni senza alcun motivo. Nessuna preoccupazione si era manifestata nei termini drammatici sopra descritti. Nessuno si è mai sognato di mettere a rischio l’inno e la bandiera italiana. Credo piuttosto che questa situazione abbia generato disagio al CIO e nei rapporti diplomatici con il nostro Governo. Ricordo, peraltro, che le regole del CIO prevedono anche il rispetto delle regole e il fairplay, che invece non sono stati assolutamente applicati dall’attuale dirigenza del CONI.
- Gli impianti sportivi sono un problema annoso. Oggi i finanziamenti per lo sviluppo dell’impiantistica sono affidati a Sport e Salute. Il CONI può attuare un proprio piano di recupero e di sviluppo?
C’è molto interesse delle istituzioni locali, regioni ed ANCI a questo proposito. Con un CONI forte sul territorio, dopo un aggiornamento del censimento impiantistico, con gli strumenti economici che Cassa Depositi e Prestiti ed il Credito Sportivo hanno predisposto in questa ultima fase, possiamo ben sperare di allargare la progettazione e la gestione fra pubblico e privato, e questo investimento potrebbe rappresentare anche una risorsa patrimoniale per molte società. Nelle ultime ore, gli stanziamenti previsti dal Governo per il recovery plan, nei confronti dell’impiantistica scolastica, anche in previsione dell’utilizzo da parte delle società sportive e per gli impianti sportivi, in generale, registrano un indirizzo chiaro anche se le risorse destinate sicuramente non saranno sufficienti.
- Federazioni sportive ed Enti di promozione sportiva, a volte si sovrappongono o si contrappongono come avviene nella “caccia al tesseramento”: non crede che vadano rivisti ruoli e obiettivi affinché non siano doppioni?
Su questo tema abbiamo realizzato nel ciclismo una buona pratica che può rappresentare un modello di riferimento per molte altre situazioni ancora conflittuali. Con le convenzioni si possono definire i confini delle rispettive competenze ed ora coinvolgere anche Sport e Salute, per aumentare la diffusione del movimento per il proprio benessere, e l’attività sportiva può generare un nuovo sistema sinergico, di collaborazione, unitamente alle discipline benemerite per ripristinare la produzione di valori culturali che si sono persi nella società.
RENATO DI ROCCO, 74 anni, laureato, è stato presidente della Federazione Ciclistica Italiana per quattro mandati consecutivi dal 2005 al 2021. E’ vice presidente dell’Unione Ciclistica Internazionale. E’ nato dalla famiglia di produttori di biciclette “Romeo” e ha iniziato l’attività nel ciclismo con esperienze organizzative all’interno del Velo Club Forze Sportive Romane di Franco Mealli. Dirigente CONI, tra i tanti incarichi è stato anche il segretario della FCI dal 1983 al 1987 e della FIDAL (Federazione Italiana Atletica Leggera) dal 1999 al 2001.
Foto di copertina: FCI