L’arte della telecronaca sportiva (e qualche consiglio per la boxe in tv)
Qualche riflessione tratta da “L’Europeo” del 12 aprile 1960. Il linguaggio è quello dell’epoca, i contenuti ci paiono sempre divertenti. L’autore, Achille Campanile, è stato umorista e giornalista e anche giornalista sportivo (seguì il Giro d’Italia del 1932 per “La Gazzetta del Popolo”). Buona estate.
di Achille Campanile
Delle trasmissioni sportive, sulle quali da troppo tempo non portiamo quell’amorosa attenzione che esse meritano, bisogna ammirare anzitutto il linguaggio, d’una squisitezza pari, se non superiore, a quella dello sport raccontato a mezzo della stampa. Il confronto remiero, il gruppo regolato in volata, il calciatore che ha contribuito all’affermazione della propria squadra siglando alcune reti, il pronostico aperto a tutti i risultati, il campione che riesce a portarsi via la prima o la seconda piazza, senza per questo dover spostare d’un centimetro piazza Duomo o piazza di Spagna, il giro più veloce che è appannaggio di Tizio o di Caio, il trottatore librato ai propri mezzi a un livello difficilmente attaccabile, la non pronosticabilità della rimonta, sono fiori ormai di casa nel giardino delle nostre teletrasmissioni sportive, come già lo furono sui fogli stampati, e li abbiamo colti freschi e fragranti anche in questi giorni. Ma soprattutto bisogna ammirare come, nella speciale occasione di avvenimenti sportivi intervallati da pause fra una gara e l’altra, o comportanti attese (e senza dover aspettare la complessa articolazione delle Olimpiadi, o i Giuochi del Mediterraneo, basterà attenersi ai normali confronti dell’atletica leggera, al ciclismo su pista, agli arrivi delle corse su strada, ai passaggi delle gare a cronometro, all’ippica, al nuoto, al salto con gli sci, eccetera), i telecronisti sportivi siano commoventi per l’abnegazione, che agisce su essi come un ordine perentorio di non stare zitti un momento.
Parlare di logorrea è poco. Non soltanto nel corso delle gare, il che è talvolta fonte di mirabili effetti, come l’illusione nel telespettatore di assistere a due distinte competizioni del tutto differenti fra loro: l’una, quella vista, e l’altra quella udita per bocca del commentatore; ma anche durante le pause o le attese essi pensano che una grave colpa sarebbe un pur minimo attimo di silenzio, e continuano a parlare delle cose più varie, incuranti di quello che avviene sul video, dove le telecamere, non potendo spaziare fuori d’un certo raggio, né indietreggiare nei secoli, sono alquanto più pertinenti.
Così capita che, mentre queste mostrano spettatori tra il pubblico, e sul video appaiono particolari o personaggi presenti, s’oda la voce del telecronista il quale, ormai lanciato sull’inarrestabile china d’una concione cominciata, e avulso dall’ora presente, astratto e quasi ispirato, continua imperterrito a parlare di tutt’altro, abbandonandosi a dissertazioni storiche, excursus nella notte dei tempi, divagazioni filosofiche.
Forse non è assolutamente indispensabile che un telecronista rinunzi per sempre a riprender fiato e parli in continuazione anche mentre non sta succedendo niente. Forse qualche volta in TV si potrebbe vantaggiosamente affidarsi a quella che gli ottimisti chiamano la magìa delle immagini. Lasciar fare alle macchine.
Ricordo una gara fra campionesse del ciclismo. Il telecronista: «Certo, non possono concorrere a gare di bellezza…». Che c’entra la bellezza col ciclismo? Chi ha mai chiesto la bellezza alla pulce dei Pirenei, o a Bottecchia? E chi s’è mai sognato di far l’elogio del naso di Girardengo o dei riccioli di Bartali? A questa stregua, perché non rilevare che miss Italia non è adatta per un incontro di pugilato? Ricordo un’altra volta in cui, mentre lo speaker osservava che in Italia i campioni d’un certo sport non sono abbastanza apprezzati e che il nostro pubblico è freddo con essi, il pubblico in delirio esplodeva in veri boati d’acclamazione all’indirizzo dei medesimi.
Quella del parlare in continuazione, anche durante le pause d’un avvenimento, è ansia di telecronisti anche non sportivi.

Quanto al pugilato, si gradirebbe la sonorizzazione dei pugni. Perché non doppiarli, come si fa per la voce dei cantanti alla TV? Basterebbe un colpo di grancassa a ogni pugno. Questo gioverebbe alla comprensione dell’incontro da parte dei profani. A me, per esempio, i pugni fra i due pugilatori sfuggono quasi sempre. Vengo a sapere dopo, che ci sono stati. Inoltre, un pugno accompagnato da colpo di grancassa darebbe molta più soddisfazione a chi lo vede dare, oltre che, immagino, a chi lo dà, e perfino, ne sono certo, data la proverbiale cavalleria dei campioni sportivi, a chi lo riceve. Ci scherzate con la differenza fra un pugno silenzioso e un pugno accompagnato da rimbombo? Il difetto della boxe è proprio questo: che i pugni sono dati talmente a regola d’arte, che risultano quasi innaturali. Non sono più pugni, ma fantasmi di pugni. Talvolta, al non iniziato, sembrano addirittura carezze (a vederli, beninteso). Mancano quei bei tonfi che caratterizzano le rozze ed empiriche scazzottature fra incompetenti di pugilato. Ebbene, chiamatemi ignorante, ma io, la vista di una bella scazzottatura me la godo soltanto alla condizione che i colpi siano sonori.
Seconda raccomandazione, che riguarda anche il pugilato in se stesso, oltre che la sua ripresa in TV: si gradirebbe che l’arbitro stesse un momento fermo. Anzitutto, non fa che passare e ripassare da una parte all’altra, occultando i contendenti agli occhi del pubblico e conl’evidente intento di far vedere più se stesso che essi. In secondo luogo, interrompe sul nascere le più brillanti zuffe. Ma lasci che per un po’ se le diano di santa ragione! Faccia finta di non vedere! Chiuda un occhio!
Terza raccomandazione: i due contendenti smettano di stare sempre o troppo vicini o troppo lontani fra loro. Il maggior tempo lo passano abbracciati, e ci vuole l’intervento dell’arbitro che s’intromette a staccarli perché deve passare. Per il resto del tempo, si mantengono quasi sempre ognuno fuori del tiro dei pugni dell’altro. Ora, è diritto di tutti cercare di evitare colpi, specie sulla faccia. Ma siamo qui per vedere dei pugni. Invece, appena uno allunga un diretto, l’altro si china, o si scosta, e lo schiva. lo credo che il pugilato avrebbe molto più successo, se si facesse divieto assoluto, ai due contendenti, di schivare i colpi, e la regola fosse che tutti i pugni debbano andare a segno. Diventerebbe un altro tipo di spettacolo, lo so. Ma darebbe molta più soddisfazione.