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La Ciclosofia dei “Garretti”

Proponiamo un articolo che il nostro collaboratore Sergio Gh. Azzoni ha scritto quale postfazione al libro “Un milione di km in bici” del gregario professionista Renato Laghi con Marco Pastonesi, con prefazione da Claudio Gregori

di Sergio Gh. Azzoni

Innegabilmente Renato Laghi è l’uomo che è anche arcinoto per aver molto pedalato. E se aveva ragione Oscar Wilde scrivendo che la vita non è altro che un brutto quarto d’ora composto di momenti squisiti, ecco: pedalare è uno di quei momenti, e il Laghi ne ha vissuti molti.

Che la bici aiuti la vita lo dice la scienza. Si vive da quando il cuore batte a quando smette di battere: e in bici il cuore batte più forte, ma alla lunga batte anche meglio. E si vive in quanto si pensa, dice la filosofia. Un po’ di sillogismi, e ci siamo: si vive in quanto e per quanto si pedala. Sulla bici, tu pensi magari di farci solo una scampagnata, o per curarti un malanno, o di andarci a trovare la zia. Magari di farne un mestiere come ha fatto Laghi. O di usarla per viaggiare o anche solo per ‘farci dei giri’. E a una certa età, ti ritrovi ciclòsofo: scopri che ti sei inventato anche un nuovo modo di pensare. E in qualche caso, sai anche pensare di meno e pensare meglio.

Io avevo credo dodici o tredici anni e il Laghi lo sentivo puntualmente nominare in quei rosari di cognomi che erano gli arrivi del gruppo nelle telecronache del De Zan (di Quel De Zan). La ciclosofia l’ho sentita spiegare – ma chiamata col suo vero nome – da un bravo professore del liceo. Poi l’ho studiata a modo mio, un po’ ovunque e comunque. In un lungometraggio su Fausto Coppi, del regista Sironi, a un furibondo Biagio Cavanna facevano dire: “C’è in giro troppa gente che fa solo della filosofia con questo mestiere…”. E’ il parlate, parlate… ma ga voeul i garùn, un classico adagio ciclosòfico in versione milanese.

Si’ certo,  ma quanta testa, anche, ci vuoleSe più testa dura o più mente fina, poi, non è questa la sede per stabilirlo. Polentone l’hai fatto il Polenta? Così mi sfotteva un mio (velocissimo) amico romagnolo di quando ho abitato per qualche tempon a Cesena. Scollinando sul Polenta io guardavo in  giro e pensavo sempre che finché c’è bici c’è speranza. Ma questo è un luogo comune e questo libro non merita banalità. Allora meglio scrivere questo: se il libro vi piace, “vogliatene bene” a chi lo ha creato, cioè il Laghi, e “anche un poco a chi l’ha raccomodato”, il Pastonesi, e pure a chi l’ha prefazionato, il Gregori. Le virgolette sono lì perché le parole sono del Manzoni, che per me fu un incubo dei tempi di scuola.

Ma serve sempre più cultura, questo è certo. E pazienza se un libro ispirato da storie di bici e dintorni non avrà tanti lettori quanto un post delirante di un qualche Donald Trump. Il libro di e sul Renato Laghi contribuisce a riempire un vuoto di idee che può capitare a tutti. Perché applicanbdo un concetto freudiano, la bici ci accompagna in un regno intermedio tra la realta’ che spesso frustra i desideri e la fantasia che li soddisfa.

C’è sempre posto, fisico o immateriale, verso cui valga la pena pedalare.

Tipografia Faentina Via Castellani 25, Faenza

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