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Bob a Cortina: un progetto tutt’altro che sostenibile

Tra disboscamenti e proteste, aperto il 21 febbraio scorso il cantiere dei Giochi Olimpici Invernali 2026

di Manuel Fumento

A dicembre, a contorno di una breve cronistoria, ci eravamo lasciati con dubbi e perplessità su cosa ne sarebbe stato delle gare di bob, skeleton e slittino ai Giochi Olimpici Invernali di Milano-Cortina 2026.

Due mesi dopo, a inizio febbraio, la scelta è stata quella di procedere col progetto “light” della pista a Cortina fortemente voluto dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini e dal governatore del Veneto Luca Zaia.

Tuttavia, il progetto in questione di light non ha nulla. Al via del cantiere lo scorso 21 febbraio, a cui partecipano anche 90 operai novergesi, si sono accese le motoseghe ed è iniziato lo scempio ambientale. 500 i larici secolari che stanno facendo spazio alla costruzione della pista. Tante le proteste di organizzazioni come il Club Alpino Italiano e il WWF contro la deforestazione in atto. A loro si è unito il violoncellista Mario Brunello che, tra il tonfo dei larici cadenti, ha suonato in segno di protesta. “E’ una richiesta di pietà – ha detto Brunello – per uno scempio che sta avvenendo in questo bosco di Ronco per un’improbabile pista di bob”.

Il violoncellista Mario Brunello suona in segno di protesta contro l’abbattimento dei larici secolari

L’insostenibilità di questo progetto non è solo ambientale: è anche economica e sociale. Il preventivo iniziale per la costruzione della pista era di 85 milioni di euro ma a causa dell’inflazione e dell’abnorme ritardo accumulato è salito a 125 milioni. Inoltre, per mantenere attiva la pista nel post Olimpiadi (requisito fondamentale per l’approvazione del CIO) ci vorranno circa 1,4 milioni di euro l’anno. A far le spese della propria esistenza, oltre ai larici, anche alcune attività del territorio come il parco avventura di Cortina costretto allo smantellamento a carico del proprietario, come raccontato da L’Indipendente.

Presidio ambientalista a Cortina- foto ansa

Le preoccupazioni si moltiplicano se consideriamo che, a fronte di questa gigantesca spesa socioeconomica e ambientale, la scadenza di consegna è a marzo 2025 per consentire i collaudi al CIO. Meno di 400 giorni per un cantiere che ne avrebbe bisogno di minimo 625: il fallimento è dietro l’angolo. In ogni caso il CIO, chiaramente poco fiducioso sulla riuscita dell’impresa, sta preparando un piano B con una pista all’estero.

Ricapitolando, in caso di gare all’estero, la beffa non sarebbe né doppia, né tripla, né quadrupla ma infinitesimale. Ci ritroveremmo con: un bosco di larici secolari strappato via, un paesaggio inevitabilmente rovinato, un impianto costosissimo e incompleto che sarà raramente utilizzato (se non proprio abbandonato) e ricadute economiche a lungo termine sul comune ampezzano per circa 1,4 milioni di euro l’anno.

Tutto questo per uno sproporzionato orgoglio nazionale nel non volere spostare le gare all’estero.

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