Pericolosamente brava
Il nostro ricordo di Lea Pericoli, numero 1 d’Italia nel tennis per 14 anni (record assoluto) tra il 1959 e il 1976. A marzo avrebbe compiuto 90 anni.
di Gigi Marchitelli

Una grande guerriera sul campo e fuori, vent’anni di carriera nel tennis, ventisette titoli italiani tra singolare, doppio e doppio misto. I migliori risultati in carriera li ha ottenuti al Roland Garros, dove ha raggiunto gli ottavi di finale per quattro volte (1955, 1960, 1964 e 1971) e poi a Wimbledon, sempre ottavi in tre edizioni dei Championships (1965, 1967 e 1970). È stata la miglior tennista italiana dalla fine degli anni ’50 alla metà degli anni ’70. Agli Internazionali d’Italia ha raggiunto la semifinale nel 1967, per quattro volte i quarti di finale e in doppio insieme a Silvana Lazzarino ha giocato ben cinque finali (dal 1962 al 1965 e nel 1967).
Nata a Milano ma cresciuta in Africa, ad Addis Abeba, dove la famiglia si era trasferita in seguito alla Guerra d’Etiopia, inizia proprio in Africa la sua pratica del tennis grazie al padre. Girò il mondo per studiare e, rientrata in Italia prima di compiere 18 anni, scelse di praticare il tennis come strada per la sua vita. Sconfisse per due volte il cancro, nel 1973 (all’utero) e poi nel 2012 (al seno).
In quegli anni era anche una delle tenniste più ammirate al mondo per la sua bellezza, esaltata da completini da gioco per quell’epoca assai arditi, con pizzi e un design iconico, che l’hanno resa famosissima a livello globale. Racconta lei stessa in merito a questo aspetto della sua popolarità (in un’intervista rilasciata in occasione degli Internazionali d’Italia):
“Io cominciai a farmele fare da subito, le mutandine col pizzo: mi piaceva indossare cose carine. L’anno della partita con la Connolly al Foro Italico c’era chi mi lanciava frecciatine perché giravo sempre con Dinny Pails, il campione australiano divenuto poi grande tencico. Dicevano che si era perdutamente innamorato di me. La verità è che ero l’unica che parlava inglese e quando mi conobbe chiese subito alla Federazione che gli facessi da interprete. Così finì che quando i professionisti venivano in Italia (allora c’era ancora la divisione tra i pochissimi ‘pro’ e il modo del tennis dei dilettanti, il mio…), i vari Victor Seixas, Tony Trabert, io giravo con loro. Facevo da interprete. La Connolly era una campionessa di cui avevo già sentito parlare quando ancora vivevo in Africa, ad Addis Abeba. Avevo vinto subito i campionati juniores”.
“Come dicevo, io le mutande di pizzo per giocare me le ero fatte fare sin dall’inizio, da mia mamma o da una sartina. Volevo essere appariscente, ero vanitosetta. Quelle non erano state un’idea di Ted Tinling, lo stilista londinese. Tinling mi vestì per Wimbledon. Successe la fine del mondo. Mi ricordo quella partita contro la spagnola Maria Josefa de Riba. Io non so come avessero fatto i fotografi ad andarsi a sdraiare dietro il fondocampo per fotografarmi…. Papà si infuriò. E, lì per lì, mi face smettere. Ma poi…”.
In quegli anni Lea Pericoli è stata una delle modelle preferite dello stilista britannico Ted Tinling. Al Torneo di Wimbledon 1955, contro la spagnola Maria-Josefa de Riba, la fece giocare con culotte e sottoveste rosa quando ancora le tenniste indossavano completi bianchi con le gonne lunghe sino alle ginocchia. Fu quello il motivo per cui il padre si infuriò e le vietò temporaneamente di giocare. Successivamente, Tinling confezionò per lei un gonnellino di visone, uno di penne di cigno, un abitino di petali di rose e un vestitino d’oro con le mutandine di brillanti. Attualmente i completi indossati sono esposti nel Victoria & Albert Museum di Londra.
“Quando ci ripenso ritorno per un attimo dentro un mondo pieno di magia. Io non ho mai avuto un coach. Per allenarmi dovevo trovare giocatori maschi di terza categoria che avessero voglia di giocare dall’una alle due perché io lavoravo. Oppure alla mattina dalle 8 alle 9: poi doccia e via con la Vespa per andare in ufficio. E nelle serate romane, approfittavamo della folle passione tennistica di tanti personaggi famosi. Uno per esempio era Dino Verde, l’autore televisivo. Un altro l’attore Umberto Orsini , altro ‘maniaco’ di tennis. Facevamo persino dei doppi improbabili con una posta in palio. E così guadagnavamo pure qualcosa. Poi ci portavano fuori a cena. Eravamo giovani, ragazzi senza una lira. Ma felici”.

Alla fine del 1972 le venne diagnosticato un tumore maligno, che la portò ad un’operazione all’inizio del 1973. In seguito divenne la prima donna testimonial per la lotta contro i tumori. Dall’anno seguente inizia per lei una nuova carriera: giornalista, commentatrice di tennis in televisione, direttrice di tornei: la vita di Lea è stata comunque il tennis, che le ha dato molto. Ma lei, al tennis, ha dato tutta se stessa. Addio, Lea.