Lo sport che unisce: sulle tracce di Otto Peltzer e il futuro dell’accessibilità LGBTQIA+
Storie, memorie e voci del presente si intrecciano per ridisegnare lo sport come spazio aperto, accessibile e senza pregiudizi.
ROMA – Un pomeriggio carico di memoria, confronto e speranza. Il Villaggio Olimpico di Roma ha ospitato l’evento “Sulle tracce di Otto Peltzer”, promosso da Sportopolis ETS e A.S.D. Club Atletico Centrale, con il sostegno di Roberto Tavani e di Zètema. Due momenti distinti, ma profondamente intrecciati, hanno animato l’incontro: il racconto della vita del campione tedesco Otto Peltzer, perseguitato dal regime nazista per la sua omosessualità, e una tavola rotonda sull’accessibilità allo sport per la comunità LGBTQIA+.
A guidare il primo segmento, il giornalista Valerio Piccioni, ideatore de La Corsa di Miguel, che ha ripercorso con intensa partecipazione la parabola umana e sportiva di Peltzer: dall’apice come recordman dei 1500 metri alla detenzione nei campi di concentramento, fino alla rinascita in India, dove fondò l’atletica leggera moderna. Un racconto che, come ha sottolineato Piccioni, «ricorda quello di Alan Turing e di tanti uomini che hanno dato tutto al loro Paese, ricevendo in cambio l’oblio».

La seconda parte dell’evento ha visto protagoniste le voci contemporanee di chi oggi vive e costruisce spazi sportivi accessibili: Nicolò Zito e Nicolò Barbagallo per Libera Rugby Club, Giuseppe Barbieri e Marco Michele D’Achille per Roman Volley. Le loro testimonianze hanno restituito un’immagine autentica dello sport come luogo di comunità, accoglienza e autoaffermazione, ma anche delle difficoltà quotidiane che le realtà LGBTQIA+ continuano ad affrontare.
«Lo sport lega, ha una capacità di creare relazioni incredibile», ha raccontato Zito. «Dopo tante esperienze sportive individuali, è stato solo con una squadra inclusiva che ho capito cosa VOGLIA dire appartenenza. La chiamano famiglia e non è un caso: si ride insieme, ci si sostiene, si cresce».
Nicolò Barbagallo, eterosessuale e giocatore di Libera Rugby, ha testimoniato la forza dell’inclusione da un’altra prospettiva: «Libera è stata da subito una famiglia. Non solo per le questioni legate all’identità ma anche per chi, come me, ha vissuto difficoltà personali. Ho trovato uno spazio dove non ti senti giudicato, dove puoi finalmente essere te stesso, anche nei tuoi limiti».
Giuseppe Barbieri, per Roman Volley, ha insistito sull’importanza dello spazio fisico: «La nostra battaglia è anche logistica: ci sono poche palestre, pochi orari e spesso veniamo messi in fondo alla lista. Ma noi ci siamo, resistiamo e giochiamo. Perché lo sport non può escludere».
Marco Michele D’Achille ha aggiunto: «Lo sport, per me, è stato un modo per ritrovarmi. All’inizio era solo un’attività fisica. Poi ho capito che era un modo per ricostruire fiducia, per respirare libertà. E farlo con persone che ti capiscono, o che imparano a farlo, è una delle esperienze più forti che si possano vivere».
E se dal pubblico è arrivata una riflessione accesa — «Possono essere i giovani a educare noi genitori e adulti? Possiamo creare un anti-branco al bullismo?» — è stato Barbagallo a rispondere con lucidità: «Sì, l’insegnamento può anche partire dai più giovani ma bisogna avere delle menti disponibili ad ascoltare. Mamme e papà disposti ad ascoltare. È lì che nasce il cambiamento». Rosario Coco (presidente GayNet) dal pubblico ha rilanciato la necessità di educare le nuove generazioni e di costruire settori giovanili liberi da pregiudizi.
L’iniziativa rientra nel progetto europeo TimeOut, finanziato dall’Unione Europea e sviluppato in collaborazione con associazioni di Italia, Francia, Grecia, Lettonia e Cipro. TimeOut mira a promuovere l’accessibilità LGBTQIA+ nello sport attraverso interviste, incontri e campagne sociali. «Uno spazio per raccontarsi e cambiare le cose, anche a piccoli passi», come ha detto Antonia Piga, presidente di Sportopolis ETS.








