Dirceu per sempre
Dirceu José Guimarães, meglio noto come Dirceu (Curitiba, 15 giugno 1952 – Rio de Janeiro, 15 settembre 1995), è ritenuto tra i giocatori brasiliani più forti e rappresentativi della sua epoca. Era soprannominato “a formiguinha”, per la sua resistenza e capacità di coprire ogni zona del centrocampo. Tre sono i Mondiali disputati. Zero i cartellini rossi ricevuti in tutta la carriera. Cinque come gli anni vissuti in Serie A con cinque maglie diverse. Due come le stagioni in cui la sua insaziabile fame di calcio l’ha portato a fermarsi a Eboli, dove gli hanno intitolato lo stadio. Quattro come i figli avuti insieme a Vania, la compagna di una vita. Quindici come il giorno della sua nascita (era giugno del 1952) e come il tragico giorno (settembre del 1995) in cui uno schianto sotto casa se l’è portato via troppo presto. Mille come gli amici che ha lasciato in giro per il mondo e che hanno pianto di rabbia. Questo era Dirceu José Guimaraes.
La storia del calcio è piena di sconosciuti vincenti. Giocatori che hanno accumulato trofei entrando ogni tanto per perdere tempo, manciate di minuti spruzzate qua e là al momento opportuno, senza un senso tecnico né tattico. Gli almanacchi sono strapieni di questi nomi e anche il tifoso più accanito quando va a rileggere quegli elenchi inizia a chiedersi chi era, che ruolo faceva, da dove veniva quel Tizio che si è cucito addosso quattro scudetti o quel Caio che invece ne ha tre mel palmarès.
Ci sono poi campioni veri che in quegli almanacchi non hanno diritto di cittadinanza. Magari hanno giocato tre Mondiali di cui uno da protagonisti assoluti, hanno sfiorato il quarto vestendo sempre la divisa della Nazionale più vincente della storia. Eppure, in quella casella dei vincitori non hanno spazio. Dirceu José Guimaraes fa parte di quest’ultima categoria. Il suo scarno medagliere parla di due titoli conquistati nel campionato statale del Paranà con la maglia del Coritiba, tre nel campionato statale di Rio De Janeiro (“Carioca”) con Fluminense e Vasco da Gama. A livello individuale, un Pallone di bronzo al Mondiale del 1978, con tanto di gol segnato all’Italia nella finalina per il terzo e quarto posto.
La grandezza di Dirceu sta proprio in questo: lo ricordano tutti con una mano sul cuore, anche dove non ha vinto nulla (cioè quasi ovunque), come a Napoli o a Madrid sponda Atletico. La sua vita è piena di gustosi aneddoti, di insegnamenti lasciati ai compagni di squadra, di leadership naturale. Calcio, solo calcio. Nessun vizio riconosciuto se non quello dell’amicizia, che ha elargito in lungo e in largo per tutta la sua vita, anche alle persone appena conosciute. Girava con una macchina piena di palloni e se vedeva dei bambini che giocavano con uno strumento inadeguato, apriva il bagagliaio e scatenava la festa.
Perché raccontare la vita di Dirceu? Perché è nella filosofia di Edizioni inContropiede scrivere storie alternative, narrare eroi che hanno esaltato delle realtà normalmente dimenticate. Dirceu ha giocato cinque anni in Serie A con cinque maglie diverse, ma si è innamorato di questo Paese tanto da accettare di disputare due campionati di Serie D con l’Ebolitana e mezzo con il Benevento, poi un anno di calcio a cinque a Bologna e due ad Ancona, questi ultimi senza percepire stipendi, solo l’affitto della casa in cui abitava con la famiglia e qualche piccolo rimborso spese.
Una storia piena di gioia, che comincia con la parte più tragica, quella terribile e prematura morte su una strada di Rio de Janeiro, travolto da un’auto che viaggiava a velocità assurda in competizione con un’altra. Tolto il dente, tolto il dolore. Una volta appurato che dal punto di vista fisico questo grande calciatore non c’è più, si passa a raccontare che in realtà c’è ancora, nella mente e nel cuore di chi ha avuto la fortuna di incontrarlo almeno una volta.

Dirceu per sempre
di Enzo Palladini
Edizioni InContropiede, 2023
Pp. 156, € 18,50